Caro direttore, «Probabilmente, non avreste mai immaginato che poter uscire per andare a scuola costituisse un esercizio di libertà. Della vostra libertà». È passato quasi un mese da quando il presidente Mattarella si è rivolto così agli studenti per ricordare loro di essere parte integrante di una comunità che si è trovata costretta a stravolgere le proprie abitudini a causa di un virus che ha falciato oltre 30mila vite soltanto nel nostro Paese. Eppure quelle parole sono apparse come un balsamo sulla ferita aperta del nostro sistema scolastico in tempi di pandemia. Un sistema che, diciamolo con franchezza, è apparso in tutte le sue fragilità, proprio come quello sanitario. Entrambi hanno mostrato tante lacune, figlie degli anni di sostanziale disinteresse da parte della politica.
Eppure, nella scuola, in tempi di didattica a distanza e offerte formative spesso migliorabili, sono stati i singoli insegnanti, spesso precari, sostanzialmente sottopagati, a fare la differenza. In questi lunghi mesi, accanto a insegnanti che non sono stati in grado di andare oltre l’assegnazione dei compiti e l’ora di lezione a distanza, ci sono stati 'maestri', nel senso più nobile del termine, che si sono sforzati di superare la distanza e di rendere quella didattica più a portata di tutti. Un’impresa non da poco, in un momento in cui le differenze nella scala sociale sono state acuite dalla pandemia, che ha mostrato con quale facilità potessero seguire le lezioni quei ragazzi ben seguiti a casa, figli di famiglie benestanti in cui di certo non è mai mancata la connessione a internet o la stampante o il materiale didattico. E che ha lasciato indietro gli altri. Più o meno volontariamente o consapevolmente.
In questi giorni di lockdown a strapparmi un sorriso sono stati i tanti bambini che mi hanno scritto. Tra questi, anche le quinte classi A e B della scuola elementare 'Dante Alighieri' di Rignano sull’Arno. Hanno annullato i 1.446 km che separano il piccolo centro toscano dalla mia Lampedusa: quei bambini li ho sentiti vicini.
Mi ero ripromesso di andare a trovarli, la quarantena me lo ha impedito. Ma tra i banchi di questa scuola non avrei avuto bisogno di portare la testimonianza del 'dottor Bartòlo', quella i bambini la conoscono già, grazie al lavoro straordinario delle loro maestre, che hanno promosso progetti di integrazione, di inclusione, di approfondimento del fenomeno migratorio. Mi sarei semplicemente limitato ad ascoltare le voci dei bambini leggere le lettere semplici e chiare che mi hanno spedito e ringraziare tutto il corpo insegnante. Lettere in cui traspaiono i sentimenti umani che la pandemia ha amplificato: tristezza, noia, rabbia. Ma soprattutto nostalgia per quel luogo fisico dove andare ogni giorno e che è stato cancellato d’un colpo e che ha lasciato un vuoto improvviso nelle vite dei nostri ragazzi. Ecco, dalle loro parole traspare proprio questo: la scuola è un diritto, un dovere, ma anche un grande piacere. I bambini raccontano di aver fatto un po’ di tutto rinchiusi nelle loro case: studiato certamente, ma anche cantato, scritto poesie, imparato a suonare, fatto ginnastica e, persino, cucinato la pizza, i panzerotti e il cous cous. La fantasia non li ha lasciati. La fantasia, l’inventiva, sono la ricchezza dei giovani ed è stata sfruttata a dovere. E poi nelle loro lettere mi chiedono se nella mia isola arrivano ancora migranti.
Questi bambini non si dimenticano degli altri. Adesso, però, è tempo di ricominciare. Perché settembre non è poi tanto lontano. Bisogna utilizzare bene il tempo a disposizione, essere pronti e preparati per rivederci in faccia tra qualche settimana, possibilmente, per chi potrà, dopo la vacanza. Il mondo deve andare avanti. La vita continua con i suoi piaceri e i suoi problemi. L’ho visto da qui, dalla mia isola 'porta d’Europa', dove sono continuati gli approdi di persone in fuga da guerra e miseria, arrivate a bordo di barchette improvvisate con il mare calmo e la luna piena a far da guida. A bordo, come sempre, tanti giovani. Che, forse, avevano anche loro una scuola che hanno dovuto abbandonare. Un appello, perciò, caro direttore, lo voglio lanciare. Perché è oggi che siamo chiamati a immaginare il mondo di domani. Un mondo che deve ripartire dalla scuola, da un investimento significativo nei confronti del corpo docente, che deve essere gratificato per l’enorme servizio reso alla società.
«La mafia – diceva Gesualdo Bufalino – sarà sconfitta da un esercito di maestri elementari». Parole che ho sempre sentito mie e che oggi appaiono più profetiche che mai. Qualunque società vorremo costruire insieme, non potrà che ripartire dai nostri ragazzi. E dai loro insegnanti.
Pietro Bartolo
Medico ed europarlamentare Pd-Demos
Avvenire, 10 giugno 2020