Ancora uno stop della Corte di Cassazione al riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato nelle scuole paritarie ai fini della ricostruzione della carriera. In pratica, il docente che - anche dopo diversi anni di insegnamento in istituti non statali (alcuni arrivano a contarne fino a venti) - è assunto in ruolo dallo Stato, deve ripartire un’altra volta da zero, anche ai fini dello stipendio. Unica eccezione, l’inserimento nelle Graduatorie ad esaurimento, per il quale viene tenuto in considerazione anche il servizio pre-ruolo nelle paritarie.
Un’ordinanza della sezione Lavoro della Suprema Corte, pubblicata martedì, ha respinto il ricorso di tre insegnanti toscane di scuola superiore, contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze che aveva riformato la decisione del Tribunale di Siena di accogliere la richiesta delle docenti di vedersi riconosciuto il servizio pre-ruolo.
Punto centrale dell’ordinanza è «la diversità di status» tra i docenti della scuola statale e quelli della paritaria, che, pur svolgendo lo stesso lavoro, sono «alle dipendenze di datori di lavoro diversi» e con «diverse modalità di assunzione». Il discrimine, in questo caso, è l’aver partecipato o meno a un concorso pubblico, anche se, a ben vedere, la stessa normativa prevede che soltanto il 50% delle assunzioni passi da questo canale, mentre per la restante metà si ricorra alle Gae. Che sono anch’esse graduatorie per titoli e servizio, ma che, come detto, tengono in considerazione, all’atto dell’iscrizione, anche gli anni pre-ruolo nelle paritarie. Insomma, un bel pasticcio al quale, da anni, ormai, il Comitato nazionale per il riconoscimento
del servizio nella paritaria chiede sia posto rimedio, attraverso l’emanazione di una legge specifica. «Chiediamo che sia modificato l’articolo 485 del Decreto legislativo 297/1994 che distingue tra scuola “parificata” e “pareggiata”», dice Filomena Pinca, portavoce del Comitato. Per le seconde, infatti, il servizio pre-ruolo è tenuto in considerazione ai fini della carriera. La legge sulla parità, la 62/2000, ha, però, introdotto il termine “scuola paritaria” che ha sostituito le denominazioni precedenti. Che, invece, vengono ancora utilizzate dalla Cassazione, proprio per negare quello che, a tutti gli effetti, è un diritto di una categoria di lavoratori, ancora una volta discriminata. Sempre la Cassazione, infatti, ricorda che «il legislatore se, da un lato, ha voluto garantire agli alunni delle scuole paritarie un trattamento equipollente a quello della scuola statale, sia in relazione al valore del titolo di studio che con riferimento alla qualità del servizio di istruzione, dall’altro non ha inteso equiparare il rapporto di lavoro che intercorre fra il docente e la scuola paritaria con quello instaurato in regime di pubblico impiego».
Una decisione che, in soldoni, consente allo Stato di ottenere un servizio, risparmiando un bel po’ di quattrini. In un ricorso del 2017 al Parlamento Europeo - a cui si è rivolto con un nuovo esposto, per violazione della Direttiva comunitaria che prevede l’applicazione delle medesime condizioni di impiego a parità di servizio prestato - il Comitato aveva quantificato in più di 2,5 miliardi di euro, i risparmi per lo Stato derivanti dall’omessa rideterminazione delle buste paga degli insegnanti delle scuole paritarie passati allo Stato. E questo considerando soltanto il 30% degli oltre 300mila docenti assunti in ruolo a partire dal 1999, quelli con un’anzianità di servizio nelle paritarie compreso tra i 9 e i 15 anni. «Non avendo ancora ricevuto risposta, abbiamo deciso di cambiare strategia: promuoveremo un class action al Parlamento Europeo», annuncia Filomena Pinca.
«È davvero indecente quello che sta accadendo – conclude la portavoce del Comitato –: diritti negati sulla base di un’interpretazione politica del principio di eguaglianza. Secondo la Cassazione non esiste equiparazione tra impiego pubblico e privato ed io resto allibita, perché dal 2009 al 2013 esistono diverse sentenze della Corte Costituzionale che affermano esattamente il contrario. Che cosa è cambiato dunque? Il governo? La Costituzione? Troppi docenti assunti dalla Legge 107 con servizio prestato nella paritaria? Si sprecano soldi per i banchi a rotelle e i nostri diritti vengono calpestati!».
Paolo Ferrario
Avvenire, 13 novembre 2020