La sera del 14 luglio, rivolto alla folla che brulicava per le vie del centro di Palermo in occasione del Festino della Patrona Santa Rosalia, l’arcivescovo Corrado Lorefice, sovrastando il rumore dei festeggiamenti, tuonava «A chi vogliamo lasciare la nostra città, i nostri quartieri, le nostre case, le nostre strade? A questa nuova peste che, sotto i nostri occhi, camuffata di normalità e di ineluttabilità, sta contagiando i nostri giovani, cioè i nostri figli e nipoti, a Ballarò come al Cep, a Bagheria come a Termini Imerese?! Questa tremenda peste entra nelle nostre case, nelle nostre scuole, nei luoghi di ritrovo dei giovani, nei luoghi di divertimento e dello sport. Ci invade sotto i nostri occhi. Si diffonde come cosa ordinaria il consumo di crack e di altre droghe come il fentanyl, aggiunto all’eroina. Neonati ricoverati per overdose. Giovani piegati o stramazzati a terra. Esaltati, o depressi. A Palermo si abbassa anche l’età dei consumatori di droga. La prima dose si consuma anche a dieci anni. Penso a Ballarò e alle sue stradine, dove vediamo ragazzini e giovani distesi sui marciapiedi con lo sguardo perso, con gli occhi dello sballo da crack. Ragazze costrette a vendere i loro corpi per racimolare il prezzo di una dose. Non sono figli di altri, sono i nostri figli e ne siamo responsabili».
Quelle parole hanno scosso la città, dalle istituzioni in giù. Non sono tempi nei quali se parla un prelato si smuove l’agire dei potenti, ma certamente un richiamo così forte alla responsabilità interpella le coscienze. La fragilità che colpisce le giovani generazioni esige presa in carico. Ecco che ad inizio di anno scolastico, la cura del pastore della città di Palermo si traduce in incontro con i giovani. E così giorno 11 ottobre l’Arcivescovo ha aperto le porte di casa, il sagrato della Cattedrale, perché ragazze e ragazzi potessero trovare un loro spazio di incontro.
Nel sagrato della Cattedrale, con lo scenario del monumento arabo-normanno, tra lo sciamare dei turisti di ogni parte del mondo, le band musicali Megahertz del liceo Galileo Galilei e Terabyte del liceo Einstein, guidati da Max Nigrelli, prof di informatica che canta e suona con loro, all’uscita dalla scuola hanno trovato un’amplificazione da concerto tutta per loro ed eccoli a suonare insieme, trasportati dalla passione per la musica e dal piacere di condividere uno spazio autogestito. Protagonisti anche altri studenti e studentesse del liceo Garibaldi, con la loro testimonianza del viaggio a Lampedusa dove hanno toccato con mano la sofferenza immane dei migranti, che nulla ha a che fare con il “carico residuale”. A coordinare, nel ruolo di regista, Giuseppe, del liceo Regina Margherita, insieme alle sue compagne impegnate a presentare i vari interventi dell’incontro che hanno voluto intitolare “Meet &Greet con l’Arcivescovo”. E poi tutti in silenzio assoluto nell’ascolto del racconto di Vincenzo Zavatteri, il fratello di Giulio morto di crack a soli 19 anni.
Ad ascoltarli, in prima fila, “don Corrado”, come ama farsi chiamare, a un certo momento invitato a rispondere alle loro domande. In un dialogo inedito, in un clima quasi confidenziale, l’Arcivescovo ha raccontato di quando aveva la loro età, un po' ribelle, spirito libero, determinato nella sua vocazione maturata nello stile appreso in una famiglia dove si accoglieva chiunque bussasse con un bisogno, una richiesta di aiuto. E i giovani lo hanno scoperto uno di loro, mosso da sogni ma anche dalle ansie della crescita. Un incontro intenso, vero, di quelli che ti porti a casa e ti risuonano dentro, durato appena un paio d’ore, ma destinato a lasciare traccia. Il messaggio è chiaro: a Palermo i giovani hanno diritto ad una vita sana e buona e gli adulti hanno il dovere di assicurare un ambiente vivibile dove ragazze e ragazzi possano realizzare sogni e talenti.
Stefania Macaluso
Responsabile Pastorale per la scuola dell’Arcidiocesi di Palermo