UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Orientamento e formazione, un investimento per il lavoro

Come rivoluzionare le politiche per vincere la sfida di un’occupazione al passo coi tempi
19 Settembre 2020

La lotta alle disuguaglianze deve tendere alla creazione di buon lavoro. Serve un’azione sistemica che integri tutte le componenti che contribuiscono ad un efficiente funzionamento dell’incontro domanda-offerta di lavoro. È necessario recuperare il presidio della parabola evolutiva del cittadino, prima studente consapevole poi lavoratore proattivo che non attende sussidi ma contribuisce al benessere della collettività. Questo percorso, e non la messe di sussidi e regolamentazioni, consente d’innalzare il tasso di occupabilità individuale, vero propulsore di traiettorie lavorative solide, continue e gratificanti, e garanzia di una dignità sociale oggi in pericoloso appannamento.

Parimenti è indifferibile responsabilizzare le singole persone quando ricevono aiuti pubblici finanziati col debito. Il principio dovrebbe essere: «Nessun sostegno salariale senza formazione o senza servizi alla collettività». Ad esempio, il diffuso ricorso alla Cassa Integrazione e alle sovvenzioni al reddito va condizionato ad una formazione obbligatoria di massa per sostenere lo sviluppo. Il buon lavoro non si crea per Decreto ma si costruisce attorno ad un set di competenze alte e adeguate alle esigenze del mercato. Per consentire la sua continua ed efficace ri-generazione è essenziale consolidare una altrettanto dinamica configurazione che tenga assieme le tre fasi dello sviluppo delle capacità: orientamento- formazione-lavoro.

Questa filiera costituisce vera fabbrica delle competenze, una figura circolare, non lineare. Orientamento formativo e professionale, formazione, ri-orientamento, formazione continua, lavoro sono tessere di un unico mosaico, fasi che si alternano, non susseguono le une alle altre. Che si debba partire dall’orientamento formativo è un’evidenza. Larga parte del cosiddetto mismatch tra domanda e offerta è alla fonte. I dati ci restituiscono la realtà di una bussola inefficiente. In Italia la dispersione scolastica ossia la percentuale di abbandono dei percorsi curriculari prima del loro completamento è pari al 14,5%, una delle più alte in Europa. Oltre il 10% del mezzo milione di studenti che ogni anno si iscrive alle scuole superiori, circa 70.000 ragazzi, non raggiunge il diploma. L’Italia svetta in un’altra triste classifica, quella dei Neet (Not in education, employment or training), ossia dei giovani che tra i 15 e i 29 anni sono fuori da percorsi di studio o di lavoro.

La percentuale è doppia rispetto alla media europea, il 23,4 contro il 12% medio Ue. Tradotto in cifre, oltre 2 milioni di giovani sul divano. Altri due dati messi insieme denotano una dissonanza roboante. Una solida maggioranza di studenti (il 54,6%) dopo le scuole medie opta per un liceo. Peccato che solo il 28% termina il ciclo universitario, contro una media Ocse che si attesta al 44%. Posto che i nostri ragazzi non sono intellettualmente meno dotati dei coetanei europei o antropologicamente meno capaci di concludere un percorso di studi, è evidente come il vulnus sia nella carenza di supporto orientativo. Intraprendere studi lontani da attitudini e interessi genera una frustrazione alla lunga insostenibile per molti studenti. Per contro, accompagnare lo sviluppo di consapevolezza delle reali attitudini e irrobustire la cultura della libera scelta condurrebbe ad una contrazione dei tracolli riportati e consentirebbe di liberare il potenziale di milioni di giovani.

Un buon orientamento aiuta a convogliare risorse motivate verso la molteplicità dei settori produttivi. La buona formazione dota queste risorse di competenze adeguate alle richieste del mercato. Un nuovo sistema formativo che sia allo stesso tempo formazione di massa (giovani e anziani), di specialisti e ricercatori, dovrà conoscere anche un’innovazione dei metodi didattici, di ricerca e di relazione docente-discente. Bisogna integrare teoria e pratica, scuola e lavoro, laboratorio sperimentale e studio individuale e collettivo. Deve essere superato il concetto di materia di insegnamento, di “cattedra” e di “classe” a favore di soluzioni interdisciplinari e di modalità flessibili e modulari di apprendimento.

Le “materie” del Ventunesimo secolo devono attraversare il lavoro, conducendo tutti i cittadini a uno stadio minimo di istruzione e formazione adeguato alle nuove sfide. Ci riferiamo a basi culturali che prevedono le discipline di riferimento per le moderne economie quali le tecnologie digitali, la matematica e l’intelligenza artificiale, l’ecologia, l’economia internazionale, il management delle filiere, la sanità e la biologia, la storia materiale e la filosofia contemporanea. Si punti sullo sviluppo del pensiero critico, della capacità di ragionamento e lettura dei fenomeni, abilità decisive per cavalcare e non subire i cambiamenti. Accanto alle conoscenze, il saper fare e il saper essere sono divenute capacità critiche per gestire la crescente complessità dei processi lavorativi. Sono competenze che si allenano e che qualificano, ad esempio, il segmento dell’istruzione e della formazione professionale (IeFP) caratterizzato da una forte componente esperienziale. Tra le prime 20 professioni più difficili da reperire, 13 rientrano nell’ambito della IeFP. Attraverso la didattica laboratoriale e la forte alternanza con le esperienze formative svolte in azienda questo segmento formativo consente di sviluppare competenze sia trasversali, sia tecnico e professionali di cui il sistema produttivo lamenta profonda carenza. Accanto a percorsi sempre più aderenti alle necessità delle imprese occorre potenziare gli apprendistati di primo livello, con una formazione specifica del tutor aziendale e del tutor formativo, una chiara identificazione e validazione delle competenze esperienziali, una condivisa e spendibile certificazione delle competenze acquisite. Come ogni investimento, un diploma, una laurea, una certificazione sono tanto utili quanto bisognosi di manutenzione. La formazione continua è la migliore assicurazione nei tempi di burrasca, qualificata da contenuti aggiornati che equilibra la spinta tecno centrica con una visione più umano centrica e strettamente collegata alle applicazioni e all’innovazione in azienda. L’obiettivo è di collegare la formazione ai progetti innovativi. Le esigenze aziendali o di filiera devono essere il laboratorio applicativo della formazione continua.

Luigi Campagna, docente MIP Politecnico di Milano

Marino Lizza, managing partner WeCanJob.it

Luciano Pero, docente MIP Politecnico di Milano

Roberto Rossini, presidente nazionale Acli

Avvenire, 17 settembre 2020

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