Ore 9 in punto. Non è il suono della campana a introdurre l’inizio della lezione, bensì un bip sullo schermo del pc. I banchi sono dei rettangoli virtuali che mostrano il viso degli alunni. L’insegnante non deve sporgersi dalla cattedra per averli tutti sott’occhio. L’aula virtuale è più facile da visualizzare. Ma manca l’alchimia del contatto diretto. La docente, però, non si lascia scoraggiare dal clima asettico. Fa una battuta, gli occhi dei ragazzi si illuminano, qualcuno sorride. Poi, comincia ad ascoltare il primo gruppo che, nei giorni precedenti, ha raccolto una serie di interviste ai nonni sulla loro esperienza durante il periodo fascista e, ora, le espongono ai compagni. Al termine, i questi ultimi intervengono con delle domande: il racconto li ha incuriositi e, uno dopo l’altro, cominciano a chiedere. Alla fine, è la voce della professoressa a fare da campanella per segnalare la fine dell’ora. «Ci rivediamo fra due giorni, domani c’è scienze», dice nel microfono. E il suono delle sue parole arriva metallico ai ragazzi collegati.
L’Istituto comprensivo di Sant’Omobono Terme, che raccoglie 962 alunni di elementari e medie dai vari paesini della Valle Imagna, nella Bergamasca, è vuoto dal 23 febbraio. L’attività didattica, però, non si è mai fermata, nonostante la zona si trovi fra le Valli Seriana e Brembana, tra le più colpite dalla pandemia. Merito dello sforzo collettivo fatto da docenti, amministrativi, alunni, genitori e dirigente scolastico. «Credo che ognuno di voi sia messo a dura prova in questo momento. Come persone affrontiamo un nemico invisibile che ci riempie di ansia e anche di paura. Ma come insegnanti dobbiamo reagire alle difficoltà, inventarci sapienti fruitori delle tecnologie a volte tanto odiate e, inoltre, dobbiamo adattarci a questa situazione impensabile fino a qualche mese fa», ha scritto quest’ultima, Marzia Arrigoni, in una recente lettera al corpo docente.
È una buona sintesi di quanto messo in atto da maestri e professori dell’istituto nell’ultimo mese. «La prima settimana, sembrava che la chiusura fosse di breve durata, una parentesi da archiviare al più presto. Poi, però, ci siamo resi conto che la situazione sarebbe andata avanti per un po’ e abbiamo dovuto inventarci come fare», racconta una delle docenti di lettere dell’istituto. «In pochi giorni abbiamo dovuto imparare quanto avrebbe richiesto mesi o anni di corsi di formazione. Ci siamo messi a cercare informazioni sui programmi virtuali disponibili, abbiamo visto video tutorial, abbiamo provato, sbagliato e rifatto, fin quando ci siamo riusciti», prosegue l’insegnante. Alla creatività dei docenti si è sommato lo sforzo dei ragazzi e il sostegno delle famiglie. «Gli alunni sono abituati ad impiegare la tecnologia. In genere lo fanno per giocare. Stavolta hanno messo le loro competenze a servizio della didattica. La loro partecipazione entusiasta ci ha molto capiti».
Anche i genitori hanno fatto la loro parte. Dato che spesso, il nucleo familiare condivide uno stesso pc, madre e padre hanno prestato i cellulari o il tablet. «Abbiamo organizzato l’orario in modo da evitare sovrapposizioni per l’utilizzo dei computer o altri apparecchi fra fratelli e familiari. È stato un po’ un gioco a incastri ma il sistema sta funzionando. Ieri mattina, per la mia lezione, ad esempio, erano collegati in ventitré su ventiquattro: un buon risultato». Spesso, alle lezioni virtuali si abbinano quelle registrate che i ragazzi vedono appena possibile. Oltre al materiale caricato sul registro elettronico e scambiato via email. Non è, comunque, la parte tecnico–organizzativa la più faticosa. «Ci mancano i ragazzi. Averli di fronte, poter decifrare lo stato d’animo da uno sguardo, una smorfia, un movimento impercettibile. La presenza fisica è un’altra cosa…».
Lo ha scritto anche da poco la dirigente Arrigoni agli allievi: «Siamo lontani, ma so che i vostri insegnanti vi stanno raggiungendo “a distanza”, i collaboratori scolastici stanno preparando la scuola per il vostro ritorno, in ufficio il personale lavora incessantemente per riorganizzare i progetti didattici, oltre al consueto lavoro. Tutto l’Istituto attende con ansia il vostro ritorno».
Lucia Capuzzi
Avvenire, 2 aprile 2020