UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Occhi giusti sulla scuola

Capire organizzazione e didattica reali
12 Febbraio 2021

Tanti anni da studente e ormai molti di più da docente mi hanno insegnato che non è il numero dei giorni – le famose 200 campanelle! – a fare una scuola buona, bensì la qualità di ciascuno di quei giorni. Per questo da Mario Draghi mi sarei aspettato una prima indicazione sulla scuola non di tipo numerico, per altro già proposta da Lucia Azzolina, ma ricca di sostanza. Che questo mondo debba essere una priorità della politica è necessario, tuttavia ciò non deve trasformarsi in provvedimenti frettolosi e presi ad anno scolastico già al giro di boa, nel senso che ci si può pensare per il prossimo anno dando a tutti il tempo di organizzarsi.

Le priorità vanno pensate bene e messe in campo per dare risposte dalle ampie vedute, non certo per offrire una manciata di giorni in più, quasi una sorta di tempi supplementari contati non si sa su quale base e in modo generico.

Abbiamo perso tempo con la didattica a distanza? Sì, se ne abbiamo fatto un surrogato di quella in presenza o una specie di fotocopia sbiadita; no, se, come in moltissimi casi, ha permesso allo studente di trasformare la propria camera nel banco di scuola e al prof. di rendere la propria casa una cattedra, condividendo la cultura, lo studio, l’attualità e l’umanità. Certo l’esperienza dell’incontro fisico è mancata moltissimo, ma non è solo questo che rende la scuola significativa; prova ne è che si può essere presenti fisicamente – sia studenti che insegnanti – ma assenti con il pensiero, senza concentrazione, con la testa fra le nuvole, senza alcuna passione per l’insegnamento e l’apprendimento.

Credo, insomma, che abbiamo sprecato più giorni negli anni della normalità che in questa difficile situazione, solo che ci voleva la pandemia a svelarlo. Alla qualità e al tempo aggiungiamo poi la vita quotidiana degli studenti, già fortemente destabilizzata dai limiti e dalle chiusure forzate, e solo questo dovrebbe aprirci gli occhi sul fatto che persino un giorno in più a giugno sarebbe un ulteriore colpo, particolarmente per i preadolescenti e gli adolescenti fin troppo ingabbiati. Per gli insegnanti il problema neanche esiste, poiché tra scrutini, esami, corsi di recupero, progettazioni e verifiche, la fine di giugno la si raggiunge sempre e pure oltre nel caso della maturità. Se vogliamo essere ancora più concreti, un eventuale spostamento in avanti della chiusura, richiederebbe lo slittamento di tutto il sistema scolastico. Quando si svolgerebbero gli scrutini e gli esami? Con quelli di Stato spesso si arriva già a metà luglio, in tal modo sicuramente alla fine, con una buona parte dei maturati che i primi di settembre avranno le prove di ammissione all’università. La 'maturità' e gli esami della secondaria di I grado, inoltre, non possono svolgersi contemporaneamente al normale corso delle lezioni, visto che i docenti commissari hanno più classi; chi li dovrebbe sostituire? Per non parlare dei dirigenti scolastici di solito impegnati come presidenti nelle commissioni.

Se, però, parlare dei docenti può sembrare quasi una giustificazione per la categoria, allargo la questione alle famiglie e all’organizzazione estiva, fatta – speriamo quest’anno con una certa normalità – di un po’ di mare, di montagna, di gite, di viaggi; chi ha la possibilità delle ferie solamente a fine giugno, sceglierà di rinunciarvi e, se così fosse per il bene più grande che è la scuola, lo Stato non le avrà danneggiate? E il danno alle famiglie non sarà esteso pure all’economia già ferita e a quanti lavorano in quel periodo e con quel tipo di clientela? Se neanche ciò è convincente, accendo di nuovo la luce sugli studenti, ciò che abbiamo di più prezioso, e a quanti al suono dell’ultima campanella si riversano immediatamente negli oratori, nelle parrocchie, negli spazi curati da associazioni e cooperative sociali, i più piccoli per godersi le attività estive, i più grandi per mettersi spesso a servizio dei primi. Anche queste sono occasioni formative e di crescita, che completano e arricchiscono quanto vissuto nelle aule scolastiche, forse a volte si impara molto di più; quindici o venti giorni in meno di gioia e di condivisione attorno a valori forti, soprattutto nelle realtà periferiche e più difficili, non possono essere sostituiti dalle lezioni in aula.

Infine, un ultimo aspetto per completare il quadro: forse a giugno la situazione pandemica sarà migliorata, tuttavia difficilmente ci si libererà delle mascherine e del distanziamento; a oggi siamo appesi a un filo per trovarci in presenza, alcuni da poco e con mille accorgimenti tra turni, orari diversi d’entrata e d’uscita, classi divise, e vogliamo tenerli nelle aule ancora di più, al caldo, naso e bocca coperti, fermi sul posto? La scuola di per sé – siamo onesti – piace poco, perché renderla più pesante?

Marco Pappalardo

Avvenire, 12 febbraio 2021