UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Noi, a lezione dal prete in canonica»

Gli “altri” don Milani e le loro scuole. Anche il cardinale Bassetti fra gli alunni di un parroco sull’Appennino; a lui deve la licenza media
24 Febbraio 2021

Il parroco «aveva aperto la canonica a noi ragazzi poveri per strapparci dalla miseria culturale e farci accedere al sapere. Insegnava quello che sapeva. Era il metodo che definirei induttivo. Era un bravissimo maestro in italiano, latino e francese. M’incantava quando leggeva i Promessi sposi. Le materie scientifiche e matematica venivano un po’ trascurate. Ma soprattutto insegnava con passione e con amore». È un ex alunno a raccontare la sua scuola in “stile Barbiana” ideata dal prete. Uno dei molti, moltissimi “altri” don Milani che, senza avere la notorietà (non cercata) del pungente sacerdote toscano, hanno formato generazioni di ragazzi fra le mura delle loro case intorno alle chiese nelle periferie esistenziali dell’Italia.

Come don Giovanni Cavini, prete fiorentino, che all’inizio degli anni Cinquanta venne mandato sull’Appennino tosco-romagnolo, a Fantino, minuscolo borgo “dimenticato dal mondo” nella provincia di Firenze, fra Palazzuolo sul Senio e Marradi. Aveva 25 anni. E lì, mentre frequentava la facoltà di Lettere all’università, iniziò le lezioni per quei ragazzi che, concluse le elementari, non avrebbero potuto proseguire gli studi perché «le medie erano troppo lontane e poi la famiglia non aveva i mezzi», spiega Gualtiero Bassetti.

Sì, il cardinale che oggi è arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei è stato uno degli allievi delle scuole in canonica dove il sacerdote «si preoccupava di dare una cultura ai giovani di campagna e di montagna perché fossero pronti, con gli strumenti della cultura e alla luce della fede, ad affrontare la vita e il mondo che stava rapidamente cambiando», scrive Bassetti nella prefazione al libro Le radici di una vocazione (San Paolo; pagine 400; euro 20) di Quinto Cappelli.

Un volume che, riassettando la storia di due “uomini di Dio” in missione fra i monti a cavallo di due regioni, il toscano don Cavini e il romagnolo don Pietro Poggiolini, appare quasi come un omaggio ai «tanti sacerdoti che si sono chinati sull’umiltà della terra per redimere e nobilitare quelli che la coltivavano riscattandoli attraverso il Vangelo, la scuola, i libri», scrive l’autore che di Avvenire è un collaboratore storico. Anche con quel metodo di cui Barbiana è diventata un’icona e un simbolo caro a papa Francesco (che l’ha visitata nel 2017).

Don Milani, prima di entrare in Seminario, era stato conquistato da don Angiolo Livi, pure lui rinomato prete fiorentino, che nel secondo dopoguerra aveva radunato «un gruppo di ragazzi a Quadalto di Palazzuolo sul Senio i quali così avevano una scuola, il catechismo e un’educazione», annotava Livi stesso per riferire delle sue lezioni parrocchiali che gli avrebbero permesso di fondare le medie locali. Oppure, con mezzo secolo d’anticipo rispetto a Barbiana, don Antonio Tabanelli aveva creato all’ombra del campanile di Tredozio, oggi nella provincia di Forlì-Cesena, il suo plesso con una «sola aula per cinque classi» dove «i più grandi insegnavano ai più piccoli», ricostruisce Cappelli. E fra i ragazzi annoverò quel don Poggiolini che avrebbe poi battezzato nel 1942 Gualtiero Bassetti a Popolano di Marradi; sarebbe stato il suo primo prete – spiccatamente antifascista – e la sua «roccia per la fede» (come

il cardinale lo descrive); avrebbe soccorso la sua gente nel passaggio del Fronte; avrebbe sdoganato il poeta “pazzo” di Marradi, Dino Campana; si sarebbe impegnato per i contadini con la Cassa rurale, il consultorio pediatrico, l’asilo, il circolo Acli; avrebbe persino scritto che il «comunista è il nostro prossimo» nonostante la dura condanna dell’«illusione» marxista; avrebbe censurato la «pastorale del divertimento» alla stregua di don Milani.

Al parroco di Barbiana scrisse don Cavini che con lui aveva fatto il Seminario a Firenze. Voleva chiedergli un consiglio per come comportarsi e a chi rivolgersi per far sostenere l’esame di terza media da privatista «al ragazzo Gualtiero», si legge in una lettera. Era il futuro cardinale. «Aveva custodito presso di sé anche il banchino sul quale aveva studiato» il presidente della Cei, racconta a Cappelli don Guido Engels. E confida anche quanto gli aveva rivelato don Cavini: «Descriveva spesso le difficoltà che aveva nel tenere a freno la vivacità di Gualtiero benché ne avesse colto i segni di bontà e intelligenza». Sarà lui a convincere il padre di Bassetti a non farne un meccanico di biciclette dopo la licenza media e a consentirgli di proseguire gli studi nel Seminario del capoluogo toscano.

Dietro Bassetti prete c’è quindi don Cavini insieme con don Poggiolini. Guide spirituali la cui «umanità è stata la porta attraverso la quale è passato il Vangelo», sottolinea l’arcivescovo di Modena-Nonantola, Erio Castellucci, nella presentazione al libro. «Pastori di anime ma anche padri», li chiama Bassetti, «testimoni della capacità di unire all’amore di Dio la cura per il prossimo e di tradurre il servizio a Dio e al popolo nella fondazione di tante opere di carità». E la loro vita, tiene a far sapere il presidente della Cei, è «simile a quella di centinaia di migliaia di confratelli i cui nomi sono scritti nel libro della vita» e a cui va «il nostro grazie dal profondo del cuore». Parola di un cardinale che ai suoi parroci deve l’“eccomi” ripetuto al Signore ancora ogni giorno.

Giacomo Gambassi

Avvenire, 24 febbraio 2021