Con l’ordinanza del 16 maggio il ministro dell’Istruzione ha imposto agli insegnanti di ogni ordine e grado di dare a tutti gli alunni una valutazione finale con i voti. Una decisione imprevista, peraltro osteggiata dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione nonché da tanti insegnanti, specialisti e tecnici del settore. Mi associo a questo coro ribadendo l’impossibilità di dare voti e, addirittura come previsto nell’ordinanza, di poter bocciare gli alunni, tanto più i bambini di prima elementare. I motivi sono molti semplici e alla portata della comprensione anche di chi non è strettamente un addetto ai lavori.
Il primo motivo è che, nel momento clou dell’anno scolastico, le luci sulle aule si sono spente accendendosi soltanto quelle dei computer o dei videoschermi per passare alla Dad, la Didattica a distanza. Sembrava una soluzione di emergenza, si pensava che nessuno avrebbe preteso di trasformare questa necessità in una prospettiva di scuola vera e propria. L’apparato tecnologico-digitale in Italia è molto deficitario, molte famiglie non sono neanche attrezzate. Visto che l’emergenza non rientrava, si sono levate voci anche da parte ministeriale a sostenere che si tratta di 'vera scuola' e che quindi gli alunni devono adeguarsi alle incombenze digitali, benché siano terribilmente tradizionali tipo interrogazioni e crocette, in vista di vere e proprie valutazioni finali con voti.
Bambini e ragazzi sono profondamente alterati dalla nuova condizione e nessuno può legittimamente pretendere che l’attenzione e la concentrazione corrisponda a quella della presenza in classe, dove l’ambiente di condivisione con i compagni crea invece le condizioni per un apprendimento efficace. Sembra pertanto ovvio rimandare tutto al prossimo anno scolastico oppure lasciare delle semplici restituzioni narrative piuttosto che dei veri voti.
Il 16 maggio è arrivata come un meteorite l’ordinanza che ha imposto agli insegnanti di dare i voti come se tutto fosse stato normale e addirittura di bocciare i bambini (anche di prima elementare) nel caso in cui non avessero lavorato a sufficienza davanti a un monitor o comunque nella Didattica a distanza. Il secondo motivo è questo. Nel momento in cui le istituzioni scolastiche hanno chiesto alle famiglie di attivarsi sulla Dad, compiti e attività, specie nella scuola primaria, hanno avuto una assoluta condivisione tra figli e genitori. In tanti casi ha prevalso l’attivismo dei genitori. Si dà pertanto un voto o una bocciatura a un intero sistema familiare. Bocciare vorrà dire bocciare la famiglia Rossi piuttosto che il singolo alunno, e se qualche famiglia non è riuscita in questo intento la discriminazione risulterà quasi perfetta. Ogni scuola e ogni insegnante può trovare le opportune strategie per evitare questa inutile crudeltà scolastica.
La vera scuola non può svolgersi unicamente o quasi davanti a un monitor. La vera scuola è una comunità di alunni e insegnanti in carne e ossa, dove ci si incontra davvero, con un’attenzione reciproca che permetta di lavorare insieme. Non si può pertanto che attendere e sollecitare il più possibile la riapertura vera e propria delle scuole italiane a tutti i nostri alunni così come sta avvenendo nel resto d’Europa.
Daniele Novara, pedagogista
Avvenire, 27 maggio 2020