Luca si presenta di primo mattino alla Cittadella della solidarietà, per affiancare gli operatori Caritas impegnati nell’emporio frequentato da papà e mamme senza un lavoro: divide i cibi in modo proporzionato, sistema gli scaffali, prepara i pacchi spesa, pulisce gli ambienti. Erika e Manuel cercano di rendersi utili agli educatori e agli animatori dei laboratori denominati Dinsi une man in cui sono impegnati giovani ed adulti con disabilità. Cristiano è pronto per portare in cappella, con la carrozzina, uno degli ospiti del Cottolengo. Michela ed Edoardo affiancano in cucina e in sala i gestori di una pizzeria «inclusiva», «Roba da matti», promossa dall’associazione Alba. Nessuno dei ragazzi è arrivato con il sorriso. Molti usciranno con le lacrime agli occhi. Per la commozione.
Sono gli studenti dell’istituto professionale «Giacomo Matteotti» di Pisa. Una scuola superiore frequentata da 1.100 ragazzi, che qui si formano come futuri cuochi, camerieri, pasticceri, guide turistiche, addetti alla reception di alberghi. Ce n’è una grande richiesta. «Otto su dieci, usciti dalle nostre quattro mura, trovano lavoro dopo due o tre mesi. Alcuni vengono assunti persino prima di diplomarsi» dice con un pizzico di orgoglio Salvatore Caruso, 64 anni, da tredici dirigente scolastico al «Matteotti».
Una scuola accogliente, frequentata anche da 134 studenti con disabilità e molti studenti con certificazione di Dsa «seguiti da 75 insegnanti di sostegno, che si integrano perfettamente con colleghi insegnanti delle materie curriculari e con gli educatori».
Come in ogni comunità scolastica, non è, però tutto rose e fiori. «Un ragazzo su dieci abbandona prima del terzo anno». E la convivenza tra ragazzi e tra ragazzi e prof non sempre è priva di tensioni. Da sette anni al «Matteotti» i casi più gravi di indisciplina, qui come altrove, vengono sanzionati con giorni di sospensione. Ma in quei giorni i ragazzi non se ne stanno a casa: sono coinvolti in esperienze di servizio. «Quello che oggi raccomanda il ministro Valditara, noi lo facciamo da tempo» osserva Caruso. «Siamo convinti che lasciare i ragazzi a casa non li aiuta più di tanto a rielaborare il motivo per cui sono stati sanzionati. In alcuni casi, anzi, li disaffeziona dalla scuola». Più educativa, invece, la prova della «prossimità». Edona, 19 anni, racconta della sua esperienza a Dinsi une man. Ammettendo che sì, ha toccato le sue corde. Così è stato anche per Lorenzo, al quinto anno del corso di cucina, ci parla del suo servizio al Cottolengo.
Il professor Matteo Amaro (docente di accoglienza turistica) è insieme ai colleghi Gessica Sestito (religione) e Giacomo Giuntoli (italiano) referente dei progetti di rieducazione «alternativa»: «Solo nello scorso anno abbiamo inviato a Caritas, Dinsi une man, Alba e Cottolengo una sessantina di ragazzi, sanzionati con sospensioni da 5 a 14 giorni. Ai tutor chiediamo sempre una relazione scritta sul comportamento del ragazzo. Quando è possibile, andiamo anche noi prof». «La maggior parte dei ragazzi – dice Irene Romoli, che per la Caritas è tutor del progetto - si mettono in gioco e svolgono il servizio in modo attento e preciso. Nelle ore trascorse insieme, li aiutiamo anche a riflettere e a comprendere il motivo per cui sono stati sospesi…». E allora, in diversi casi, arriva anche la sorpresa: «Alcuni – osserva Debora Cei, responsabile dell’area giovani di Caritas – continuano a frequentare la Caritas anche dopo aver ‘scontato’ la pena della sospensione: partecipando a campi di lavoro. A raccolte alimentari. O, nel periodo natalizio, alla consegna dei regali sospesi».
Andrea Bernardini
Avvenire, 3 dicembre 2024