UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Negli ultimi 10 anni chiuse 1.162 scuole

Dal ‘13/’14 il sistema ha perso 684.261 alunni. Gli unici a crescere, gli immigrati: +132.682 studenti
3 Aprile 2024

Culle vuote, banchi vuoti, scuole chiuse. È questo, a cascata, uno degli effetti negativi dell’inverno demografico che, non da oggi, fa dell’Italia il secondo Paese più vecchio al mondo - dietro soltanto al Giappone - con il 24,5% della popolazione sopra i 65 anni, stando all’ultima rilevazione del Forum mondiale dell’Economia. Un dato che, nel medio e, soprattutto, nel lungo periodo avrà ricadute importanti sul sistema scolastico, soltanto in parte compensate dall’apporto delle famiglie immigrate. Che, comunque, in non pochi territori, risultano decisive per la tenuta del servizio scolastico locale.

Secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione e del Merito, negli ultimi dieci anni la scuola statale è passata dai 7.878.661 alunni dell’anno scolastico 2013/2014 agli attuali 7.194.400, con una perdita secca di 684.261 iscritti, di cui 404.859 soltanto negli ultimi cinque anni. Contestualmente, sempre nella decade 2013/2014-2023/2024, sono state chiuse 1.162 sedi scolastiche (428 negli ultimi cinque anni), che sono passate da 41.483 a 40.321. E, secondo una proiezione di Tuttoscuola, altre 1.200 sedi scolastiche cesseranno di esistere entro il prossimo quinquennio, mentre nel 2033 l’Italia avrà 1 milione e 400mila studenti in meno. Al ritmo di «110-120mila ragazzi ogni anno», ha sottolineato lo stesso ministro Giuseppe Valditara agli ultimi Stati generali della natalità.

Gli unici dati in crescita sono quelli relativi agli studenti immigrati o con cittadinanza non italiana (anche se nati in Italia). Sempre per quanto riguarda le scuole statali, negli ultimi dieci anni sono passati dai 736.654 dell’anno scolastico 2013/2014, agli attuali 869.336, con un guadagno di 132.682 alunni, di cui 80.270 nell’ultimo quinquennio. Una presenza in costante aumento che non soltanto contribuisce a «rallentare il processo di invecchiamento» della popolazione, come certificato, anche ieri, dall’Istat, ma risulta fondamentale per il mantenimento del servizio scolastico soprattutto nelle aree interne.

Come racconta Noi Tv, è il caso dell’istituto “Bambini di San Giuliano” di Fabbriche di Vergemoli, comune italiano di 703 abitanti, sparso sui monti della Garfagnana, in provincia di Lucca. Dal 2017, l’amministrazione comunale aderisce al progetto Sistema accoglienza integrazione, che ha permesso a nuove famiglie migranti di stabilirsi sul territorio. Morale: oggi la scuola, tra infanzia e primaria, conta 30 bambini, di cui 8 di nazionalità straniera. «Abbiamo puntato sull’accoglienza di nuclei con bambini: questo ci ha permesso di salvare la scuola e ha sicuramente facilitato l’integrazione», ha commentato il sindaco Michele Giannini, intervistato da Noi Tv.

Il dibattito sulla presenza e sul contributo, nella scuola italiana, degli alunni “stranieri” - che, non va dimenticato, per il 67% sono nati in Italia - è ripreso negli ultimi giorni, con alcune dichiarazioni di esponenti del governo. Così, se il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha proposto un “tetto” del 20% agli immigrati in classe, il ministro Valditara ha fissato l’asticella al 50%, tornando anche ieri in argomento. «Dalla soluzione del problema della vera integrazione degli stranieri dipende il futuro della nostra comunità nazionale – ha scritto su X –. La scuola italiana che vogliamo è aperta a tutti, ma è profondamente ancorata al suo sistema valoriale. Non c’è futuro per una comunità che non abbia identità. Il punto vero è questo».

Un invito a «non dividere e differenziare» tra gli alunni arriva, però, dalle Acli. «Il cruccio che si ripresenta ogni qual volta si apre il dibattito sugli stranieri – si legge in una nota delle Associazioni cristiane lavoratori italiani – è aver mancato l’appuntamento con la Legge di riforma sulla cittadinanza in forza della quale gli alunni impropriamente definiti stranieri sarebbero già italiani».

Paolo Ferrario

Avvenire, 30 marzo 2024