UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Mai fermarsi (anche con i focolai)

La Francia non ha cambiato idea
8 Marzo 2021

«Non chiudere più le scuole». Dalla scorsa estate è l’unico vero assioma inscalfibile della politica anti-Covid francese, rispettato persino durante la recrudescenza epidemica autunnale. Per il presidente Emmanuel Macron, spalleggiato dal ministro dell’Educazione Nazionale Jean-Michel Blanquer, la Francia ha già pagato un prezzo elevato, soprattutto in termini di disuguaglianze sociali, durante il primo confinamento scattato nel marzo 2020, quando le scuole primarie e secondarie si erano piegate alla sospensione generale. Se le università hanno dovuto incassare un anno accademico 2020-2021 ancora pesantemente perturbato, gli scolari delle elementari e gli studenti delle medie inferiori, articolate in un quadriennio (collège), hanno invece potuto vivere finora un’annata senza interruzioni brutali. Le superiori, ovvero licei e istituti tecnici, hanno conosciuto una situazione intermedia, con classi spesso dimezzate: per gli allievi una settimana in aula e l’altra a casa con teledidattica.

Al di là dell’imperativo universale d’indossare la mascherina, le autorità hanno imposto vari adattamenti del protocollo sanitario nel corso dell’anno. Dal 25 gennaio, ad esempio, pure alle elementari «la non mescolanza fra scolari di classi diverse dev’essere imperativamente rispettata», anche durante il momento più critico della giornata: il pasto alla mensa. Una misura che ha fatto storcere il naso dei sindacati, per via delle complesse riorganizzazioni in tante strutture, soprattutto le meno estese. Fra le altre misure prese strada facendo, pure il divieto d’attività sportive al chiuso.

Alla fine anche queste pillole amare sono state inghiottite da tutti, in nome dell’assioma generale condiviso: adattarsi ancora e sempre per non chiudere mai i battenti, persino in conurbazioni come quella settentrionale di Dunkerque, o quella meridionale di Nizza (alle porte della frontiera italiana), dove vige ormai un confinamento nei fine settimana.

Da inizio marzo nelle scuole elementari l’ultimo stratagemma sperimentato è una vasta campagna di test antigenici, che rilevano nella saliva le proteine virali di superficie con un risultato sfornato in una decina di minuti. Anche se la precisione non è altissima, il sistema ha il vantaggio pratico d’essere accettabile per i più piccoli. Tanto che durante la fase di lancio in molte scuole il 90% dei genitori hanno espresso il loro accordo. Circa 1700 persone reclutate ad hoc somministreranno gli esami. L’obiettivo è raggiungere un ritmo di crociera di 300mila test settimanali da metà marzo, eguagliando i paralleli test antigenici proposti già agli studenti di medie e superiori. Finora le chiusure di classi o d’interi istituti divenuti focolai infettivi conclamati sono state decisamente limitate: in tutto il Paese, secondo gli ultimi dati ministeriali, sono attualmente chiuse solo 508 classi e 21 strutture. La crescente diffusione recente della variante inglese dovrà essere incassata con un nuovo adattamento, ha spiegato il ministro Blanquer: «Ciò che probabilmente faremo è chiudere più in fretta e più nettamente delle classi, anche con meno di 3 casi».

Secondo i sociologi e altri osservatori si tratta di una strategia comprensibile, data la particolare centralità sociale del sistema scolastico in Francia. Ma in proposito sorprende invece che gli insegnanti non siano stati finora considerati prioritari nella campagna di vaccinazione, a differenza del personale sanitario e dei pompieri.

Daniele Zappalà

Avvenire, 6 marzo 2021