UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Ma la coscienza non può derivare da impulsi elettrici

Le ultime tendenze della scienza sul rapporto mente-corpo contrastano sempre più le ipotesi riduzioniste
6 Marzo 2023

Chi è convinto che la tensione umana all’autotrascendenza trovi il suo fondamento soltanto in un Assoluto trascendente, normalmente è pure persuaso che esista una dimensione spirituale intrinseca di cui l’uomo è partecipe, solitamente individuata dalla cultura occidentale nell’anima. La presenza nell’essere umano della “spiritualità” è considerata da alcuni pensatori un altro segno probatorio dell’esistenza di un Creatore trascendente, che risulta ovviamente a sua volta puro Spirito. La componente spirituale umana, infatti, sebbene strettamente legata alla corporeità fin tanto che si è in vita nella condizione mondana, non proviene certamente dall’ordine naturale, non può essere il prodotto delle trasformazioni della materia (massenergia) e tantomeno dell’evoluzione dei viventi; pertanto per spiegarne l’origine occorre postulare l’esistenza di un Essere soprannaturale, che chiamiamo Dio (et hoc dicimus Deum). Ma pare ovvio che dal momento che si tratta di una dimostrazione a posteriori, per dedurre la presenza di un Ente ineffabile come creatore dello spirito occorre prima dimostrare la realtà effettiva della dimensione spirituale degli uomini, bisogna in altri termini provare razionalmente che quello che nei comportamenti umani attribuiamo alla “spiritualità” non discende dalla “materialità”, che cioè non può essere in alcun modo riducibile a fenomeno naturale.

Un’impresa evidentemente tutt’altro che semplice e che implica come primo passo quello di indicare quali sono i fatti empirici che permettono di congetturare la presenza di un’entità non materiale nella specie Homo sapiens. In generale, l’elemento indiziario solitamente indicato quale “effetto” della dimensione spirituale presente nell’uomo è il pensiero consapevole o coscienza, vale a dire ciò che determina più ogni altra proprietà l’eccezionalità umana in natura. Con la mente gli uomini scavalcano continuamente le barriere della materialità, progettano il futuro e riflettono sul passato come se fosse presente, creano opere immortali in arte letteratura e musica, diventano consapevoli dell’immensità dell’universo e si pongono le domande sul senso della loro vita e di tutto quanto esiste.

Il naturalismo ateo ha provato a negare questa tesi e a ridurre la mente e con essa la coscienza a un epifenomeno dei normali processi neurofisiologici del cervello umano, quindi minimamente distinti da quelli degli altri viventi, in particolare dei primati evolutivamente più vicini ai Sapiens. Tale riduzionismo si è organizzato in diverse interpretazioni del cosiddetto mind-body problem (problema del rapporto mente-corpo), le più hard delle quali sono sicuramente il fisicalismo radicale (John Bickle), per cui le manifestazioni della mente vanno semplicemente ricondotte alle molecole delle cellule cerebrali e ai loro processi neurali, e l’eliminativismo (Patricia Churchland), secondo cui la questione filosofica mente-corpo semplicemente non sussiste e lo studio del funzionamento del cervello (perché solo questo è la coscienza) va lasciato totalmente all’indagine scientifica. Tuttavia altri uomini di scienza, credenti e non credenti, hanno sollevato perplessità e criticato tale orientamento, considerato giustamente troppo semplificatorio e sbrigativo nel cancellare un fenomeno tanto “immateriale” come la coscienza (ad esempio John Searle).

La novità che però emerge dai recenti studi sulla teoria dell’informazione, sul libero arbitrio, sulla complessità della vita, sui nostri qualia, sul funzionamento della mente portano a concludere che, nonostante i tentativi riduzionistici dei materialisti, «sta diventando sempre più evidente che la materia incosciente non può produrre coscienza». Quest’ultima infatti non può sorgere da semplici segnali elettrici o biochimici cerebrali, poiché «i segnali elettrici possono solo produrre altri segnali elettrici o conseguenze fisiche come forza e movimento, ma mai sensazioni e sentimenti, che sono qualitativamente diversi» (Federico Faggin, Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori). È del resto intuitivamente difficile attribuire una creazione artistica come la Cappella Sistina di Michelangelo, un sistema filosofico come quello di Platone o di Aristotele, una composizione musicale come la Nona di Beethoven, un capolavoro poetico come la Divina Commedia di Dante Alighieri, una scoperta mentale come la teoria della relatività di Albert Einstein al mero gioco di impulsi elettrici o chimici delle sinapsi del nostro cervello. Certo, c’è pure chi si spinge a descrivere l’anima come una sorta di proprietà fondamentale delle particelle subatomiche simile alla carica elettromagnetica, ma si tratta con tutta evidenza di un’affermazione non scientifica e filosoficamente bislacca, perché ciò che è materia per definizione non può essere “spirito” e viceversa.

Roberto Timossi

Avvenire, 2 marzo 2023