UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Ma attenzione a non tornare al vecchio modello della lezione frontale»

Il pedagogista Daniele Novara è d’accordo sul vietare l’utilizzo dello smartphone in classe, ma mette in guardia sul ritorno alla triade lezione-studio-interrogazione
21 Dicembre 2022

Bene ma non benissimo. È netto il giudizio del pedagogista Daniele Novara sui danni dello smartphone sull’apprendimento, ma lo sono anche le riserve dell’esperto in educazione sulla circolare del ministro Valditara.

Qual è il suo giudizio su questa operazione?

Da anni mi batto contro l’ingresso dello smartphone in classe, tema che è stato oggetto, tempo fa, anche di un carteggio con l’allora ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, proprio sulle colonne di Avvenire. Intendiamoci, le tecnologie sono sempre esistite a scuola e nessuno le vuole escludere. Lo smartphone, però, dà origine a quello che chiamo un “equivoco neurocognitivo”: non si può imparare a leggere a scrivere con il cellulare, ma con strumenti psicomotori come la penna.

È per questo che, come rilevano tanti insegnanti, i nostri studenti non sanno più scrivere?

La comunità scientifica ha lanciato, non da oggi, un allarme rosso: tanti casi di Dsa, soprattutto di dislessia, sono provocati da un utilizzo intensivo dello smartphone. Non è un caso, insomma, se oggi un alunno su tre ha una diagnosi di Dsa.

Come la mettiamo, allora, con la Lim?

Sono due dispositivi completamente diversi. La Lim ha una dimensione comune, collettiva e sociale. Lo smartphone si usa da soli, senza il contributo degli altri.

Quindi, circolare Valditara promossa a pieni voti?

Mica tanto. C’è un passaggio inquietante, quando il ministro dice che il cellulare impedisce di seguire le lezioni. Ecco, non vorrei che dietro questo passaggio si celasse l’intento di riproporre, quasi nel 2023, l’antica impostazione della scuola gentiliana: lezione, studio, interrogazione/ verifica. Davvero si crede ancora che si va a scuola per seguire le lezioni? Se così fosse si tratterebbe di un improponibile ritorno al passato, alla lezione frontale, che aggraverebbe il fenomeno della dispersione scolastica, di cui, purtroppo, siamo primatisti in Europa.

Insomma, è d’accordo sul vietare lo smartphone a scuola ma teme un ritorno al passato: come si esce da questo cortocircuito?

Riproponendo e rilanciando il dibattito sul metodo pedagogico e su come si organizzano i sistemi psicopedagogici. Siamo la patria di Maria Montessori che, oltre un secolo fa, elaborò un metodo per organizzare gli apprendimenti. Già allora superava la lezione frontale, che risale al Medioevo, prima ancora che Gutenberg inventasse la stampa a caratteri mobili. Siamo davvero sicuri che la scuola italiana debba ritornare così indietro nel tempo? Se vogliamo recuperare terreno, abbiamo bisogno di una scuola che sia una comunità di apprendimento, dove si lavora insieme in un contesto laboratoriale che stimoli gli alunni a fare esperienze. In altre parole: la storia dell’arte non si studia soltanto sui libri. Si porta la classe a vedere le mostre.

Quale deve essere il contributo degli insegnanti in questa scuola-laboratorio?

Il docente diventa il “regista” in grado di creare le condizioni perché i ragazzi lavorino e non si limitino ad ascoltare la lezione. La scienza ci dice che si impara nell’esperienza operativa e che soltanto l’applicazione permette l’apprendimento, non l’ascolto passivo dell’insegnante che spiega. La scuola è quel luogo dove gli alunni fanno esperienza, esplorano il territorio e “usano” le materie per affrontare i problemi della vita. Non per ripetere a pappagallo una lezione che dimenticheranno un secondo dopo l’interrogazione.

Paolo Ferrario

Avvenire, 21 dicembre 2022