Un «segno piccolo e chiaro », che «dà un’indicazione precisa e poi lascia che ognuno vada avanti da solo». Usa un’immagine originale don Rossano Sala, docente all’Università Pontificia Salesiana e direttore di Note di pastorale giovanile, per riassumere l’essenza della pastorale universitaria. Che deve accompagnare con pazienza e autorevolezza i giovani, facendoli sentire corresponsabili e non destinatari passivi, facendo rete con la comunità e con le altre realtà del territorio. «Il primo e più importante compito della pastorale universitaria oggi in Italia e in Europa è far emergere uno stile culturale alternativo e attrattivo, perché radicato nella fede e ispirato dalla fede», ha sottolineato il sacerdote intervenendo al Convegno nazionale promosso dall’Ufficio per l’educazione, la scuola e l’università e dal Servizio per la pastorale giovanile della Cei, «nel solco – ha spiegato il direttore dell’Ufficio, Ernesto Diaco – dell’invito rivolto da papa Francesco a Firenze a rileggere l’Evangelii gaudium nei diversi contesti di vita e nel cammino verso il Sinodo dei vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale».
È proprio il documento preparatorio del Sinodo a chiedere, secondo don Sala, di «verificare e rilanciare le priorità della pastorale universitaria». È necessario infatti «discernere per convergere verso scelte meditate e non affrettate, lungimiranti e non di corto respiro, legate alla vita quotidiana e non ad eventi sporadici, aperte al lavoro condiviso e fraterno piuttosto che centrate sull’appariscenza del singolo, in linea con la dimensione propria dell’università piuttosto che orientate verso un genericismo pastorale». Sebbene infatti la pastorale universitaria abbia dei punti di forza, dal momento che «è al posto giusto, cioè si trova esattamente lì dove si trovano quotidianamente tanti giovani, quasi intercettasse ogni giorno i partecipanti ad una Gmg» e si presenta come «una presenza della Chiesa 'fuori dagli schemi preconfezionati'», è importante evitare di comportarsi «da battitori liberi» che agiscono «da solitari » e non in squadra, in comunità. Non bisogna poi dimenticare che «la pastorale universitaria si edifica con i giovani, prima che per i giovani». Che, ha rilevato don Sala, «non sono destinatari passivi da formare, istruire, educare, salvare, riempire », ma «soggetti impegnati in presa diretta nell’esercizio della vita cristiana».
Ecco perché bisogna smettere «di considerare l’ambiente in cui i giovani vivono un 'recipiente anonimo' da cui portarli via per poi, eventualmente, riportarli dopo averli formati», ha ammonito monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma e delegato per la pastorale universitaria, per il quale «senza una riflessione sulla pastorale d’ambiente ogni altra riflessione sulla condizione giovanile rischia di essere astratta e fuorviante». «Bussola di orientamento» resta, ha precisato Leuzzi, l’evangelizzazione, cioè «come la Chiesa locale può annunciare il Vangelo ai giovani che sono universitari e non ai giovani che vivono in un ambiente che si chiama università».
Le sfide che il contesto attuale pone insieme alle questioni più strettamente connesse all’ambito accademico, come gli studenti fuori sede, i docenti e il personale, la cultura, la relazione con le istituzioni diocesane e parrocchiali sono state al centro dei laboratori che hanno impegnato i partecipanti nella seconda parte della giornata, che si è conclusa con la messa celebrata da monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno e presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università.
Stefania Careddu
Avvenire, 17 marzo 2017