Diamo per scontato che le attività svolte dalle università abbiano sempre l’obiettivo di generare impatto positivo sulla società. Si tratta semmai di capire se l’impatto riguardi il livello locale, regionale o quello internazionale e se avvenga in forma diretta o indiretta, tramite l’intervento di imprese, laureati, organizzazioni esterne, ecc. Ovviamente l’impatto si può manifestare nel breve, nel medio o nel lungo termine, ma si dà altresì per scontato che ogni attività universitaria non risponda ad obiettivi egoistici di qualcuno, ma che sia sempre orientata a generare effetti positivi, sebbene con modalità, tempi e intensità diversi.
In alcuni casi nell’università viene svolta attività di ricerca che poi qualcun altro assorbe e utilizza. In altri casi è l’università stessa che genera impatto in modo diretto, con progetti specifici, molti dei quali riguardano territori e fasce di popolazione fragili e vulnerabili, sia in Italia che all’estero. L’Università di Trento, che conta oltre 700 professori e ricercatori e oltre 16mila studenti, è attiva in questi ambiti e ha lanciato un progetto, dal titolo Assisted unit for simulating independent living activities (www.ausilia.tn.it/), che riguarda la popolazione anziana, in netta crescita in Italia, dove sta crescendo l’incidenza di malattie croniche e degenerative, il che si traduce in una modificata domanda di salute, di socialità e di benessere personale.
A fronte di tale maggiore longevità esistono senz’altro Residenze Socio Sanitarie (RSA) di elevata qualità, che però non rappresentano sempre la risposta più adeguata. L’Università di Trento si è quindi attivata con un progetto nato dal confronto tra i docenti dei dipartimenti di ingegneria ed i clinici del centro per l’Autonomia e la Terapia Occupazionale ABILITA dell’Ospedale 'Villa Rosa', dal quale è emersa l’idea di creare una struttura di supporto alla transizione tra la deospedalizzazione ed il rientro a casa di utenti disabili e/o anziani. Un team interdisciplinare di ingegneri e clinici forniscono un servizio di valutazione dei bisogni degli utenti fragili, integrano la dimissione con indicazioni personalizzate di tipo architettonico e tecnologico, mantengono aggiornati i database, la conoscenza degli ausili tecnologici e le norme architettoniche e si occupano del trasferimento tecnologico verso aziende specializzate nei settori coinvolti.
È stato inoltre realizzato un appartamento domotico infrastrutturato con una rete pervasiva di sensori IoT che monitorano i movimenti dell’utente, la sua interazione con l’ambiente ed i suoi parametri fisiologici al fine di stimare lo stress e quindi determinare soluzioni che lo possono minimizzare. Durante il periodo di allestimento, prima ancora della divulgazione vera e propria dell’iniziativa, sono state soddisfatte diverse richieste per predisporre l’appartamento nel caso di famiglie con bimbi disabili, di soluzioni per l’autonomia e la sicurezza di persone anziane. Per esempio, una persona con diagnosi di SLA ha usufruito del supporto per la progettazione di spazi modulari e domotizzati grazie ai quali è rimasta in casa propria per tutto il periodo della malattia, operando anche in telelavoro fino a poco prima della sua scomparsa.
Il servizio Ausilia è stato reso operativo dal novembre 2019 e già nel corso dell’anno ha fornito un servizio effettivo a circa 15 cittadini fragili. Questo progetto ci ricorda che non serve a molto distinguere tra ricerca di base e ricerca applicata, quanto piuttosto fare in modo che la ricerca sia sempre di qualità elevata. Nelle università esistono progetti a impatto che, partendo dai bisogni dei territori e delle persone più fragili, mettono a disposizione un approccio multidisciplinare, valorizzando competenze di cui spesso solo le università dispongono.
Andrea Piccaluga
Avvenire, 17 novembre 2021