UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«L’università come ponte tra scienza e società civile»

Marina Santi e Piero Martin propongono un rettorato 'bicefalo' per l’ateneo di Padova che quest’anno compie 800 anni
17 Giugno 2021

In un’epoca spesso dominata dalla tentazione di condensare in slogan la complessità della realtà, rinunciando a comprenderla, recuperare la potenza del lessico per trasmettere una visione di sviluppo è una sfida cruciale. Una sfida lanciata da Marina Santi e Piero Martin con il manifesto 'Per un’università fiorente', con il quale si candidano alla guida dell’Ateneo di Padova, come rettrice e vice, alla vigilia dell’ottocentesimo anniversario della sua fondazione. Una proposta, già nella forma, inusuale e innovativa, soprattutto per un ambito, quello accademico. Per la prima volta nella storia ci sarebbe un rettorato bicefalo.

Professoressa Santi, come si declina il 'fiorire' come metodo di governo e sviluppo?

'Fiorire è il fine', recita una poesia di Emily Dickinson. In natura è un volgersi all’ambiente per un fine riproduttivo. L’Università fiorente può diventare paradigma di un sistema che si schiude: lungi da essere un luogo esclusivo per pochi o invisibile a molti, impollina la comunità in cui opera, con una missione cosmopolita. Di 'Comunità fiorenti', rivolte alle aspirazioni e alle scelte, ha peraltro parlato il Nobel dell’economia, Amartya Sen, in antitesi ad un modello di sviluppo, ormai logoro, basato su produttività e consumo.

Professor Martin, con il vostro progetto intendete riportare lo studio al centro?

Certamente. Piero Calamandrei auspicava che la scuola diventasse organo costituzionale. Facciamo nostra quell’importante visione. L’ Università deve difendere lo studio come bene pubblico e lo studiare una costante nella vita delle persone: l’apprendimento come diritto sociale, prima che soggettivo, inalienabile. L’Università deve costruire ponti, lavorare per una società più eguale e solidale: il che, nell’educazione, significa accesso ai saperi per tutti, nella ricerca, adoperarsi per rendere fruibili i risultati per il bene pubblico su scala globale.

Definite la vostra una candidatura duale. Cosa significa, professoressa Santi?

La candidatura duale per il Rettorato è una forma inedita che per noi è sostanza e, speriamo, esempio anche al di fuori delle nostre mura. Proponendoci in due, offriamo una soluzione plurale per una carica monocratica caratterizzata da una marcata apicalità. Due è l’unità minima del confronto ed è la condizione e il riconoscimento della diversità: al di là di ogni strumentalizzazione dell’appartenenza di genere, la nostra scelta guarda alla crescita di un’equa democrazia paritaria. Lungi dal voler liquidare l’evidente e persistente disparità nell’accesso alle cariche di governo, vogliamo tentare solo una risoluzione pragmatica alla questione delle pari opportunità, individuando nel pluralismo l’antidoto ad ogni dicotomia e antagonismo, a partire da quello di genere.

La ricerca ha un ruolo fondamentale per il benessere dell’umanità, quella scientifica ha consentito di ottenere il vaccino per il Covid in brevissimo tempo. Eppure, nella società sono frequenti posizioni antiscientifiche. Professor Martin, quale può essere il ruolo dell’Università?

C’è oggettivamente un problema di cittadinanza scientifica, con una sempre maggior propensione all’accettazione acritica di qualsiasi notizia, il che ha conseguenze gravi per la democrazia. L’Università deve catalizzare una nuova alleanza tra scienza e società, aiutando a rendere l’oggettiva complessità del mondo accessibile ai cittadini. In tal senso le università

devono diventare sempre più protagoniste di una divulgazione scientifica di qualità. Ma occorre anche passare da una cultura dell’eccellenza a una dell’eccedenza, cioè essere generativi, che vuol dire rendere la creatività capace di riprodursi. Bisogna far emergere quell’'eccedenza' di solidarietà e saperi che muove lo sviluppo umano.

Il Covid ha messo a dura prova il nostro sistema di istruzione. Cosa ci aspetta? Quale è il ruolo dell’Università per un’istruzione che sia patrimonio condiviso dalla comunità?

Nel tempo della DAD, il motto di Comenio, padre della Didattica, indica una direzione tanto utopica quanto urgente: 'Omnes, Omnia, Omino' ci dice che tutto è per tutti, in ogni modo. È questa la sfida che ci aspetta come istituzione pubblica: progettare in modo 'universale' l’offerta formativa. L’Università deve essere un 'fattore di conversione' dei progetti di vita individuali e collettivi.

Silvia Camisasca

Avvenire, 16 giugno 2021

(foto da universitafiorente.it)