UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L’unanime scelta degli studenti e l’imperio di un professore

Crocifisso in classe, la testimonianza del preside della scuola umbra al centro del caso
15 Settembre 2021

Caro direttore, sono stato il dirigente scolastico, ormai in pensione, dell’Istituto professionale di Terni nel quale si sono svolti i fatti oggetto della sentenza 24414 delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione. La sentenza afferma che: esporre il crocifisso nelle scuole non è un atto discriminatorio, basta che a volerlo sia la «comunità scolastica », la quale può decidere di accompagnarlo «con i simboli di altre confessioni presenti in classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi», inoltre, come afferma la Suprema Corte, la questione non è solo religiosa ma al Crocifisso «si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo» e quindi la sua affissione «non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione».

Condivido senza alcun dubbio quanto affermato dalla sentenza, perché l’istituto allora da me diretto si è comportato esattamente nel modo che la sentenza indica. Il Crocifisso nella classe 3ªA non l’ha voluto il dirigente scolastico, ma l’intera classe. E non solo a maggioranza. Sono stati coinvolti tutti gli organi collegiali, compresa l’assemblea d’istituto degli studenti che ha preso una posizione chiara e priva di ambiguità sulla questione, affermando che «il vero problema non era 'crocifisso sì, crocifisso no', ma un comportamento sbagliato da parte del docente, che non ha tenuto conto della volontà della classe». Gli studenti in quella occasione esprimevano «indignazione verso il gesto del professore che invece di investire in un serio e condiviso ragionamento con gli studenti della sua classe, cercando di elaborare un pensiero condiviso, ha forzato con un atto unilaterale e non molto educativo».

La mia affermazione, nella circolare 25/65, che la scelta degli studenti è «coerente con la cultura italiana, che ha nel pensiero cristiano una componente fondamentale» va pienamente nella direzione indicata dalla Corte. Esprimo, però, rammarico per il fatto che la sentenza arriva ben 13 anni dopo i fatti, e quella comunità scolastica, che partecipò con tanta passione a quella vicenda oggi non esiste più: gli studenti, allora adolescenti, sono donne e uomini di 30 anni; i docenti sono tutti in pensione; l’istituto stesso si è trasformato dopo la fusione con altra scuola.

Non concordo, inoltre, con un’affermazione della sentenza 24414: «Aveva perciò torto, negli anni 2008 e 2009 il dirigente scolastico di un istituto professionale di Terni il quale, aderendo alla decisione presa a maggioranza dall’assemblea degli studenti di una terza classe, aveva ordinato l’esposizione del crocifisso in quell’aula scolastica senza cercare un 'ragionevole accomodamento' con la posizione manifestata da un professore dissenziente». Appare piuttosto cerchiobottista. Come ho appena ricordato, tutta la comunità scolastica partecipò a quel dibattito e il dirigente scolastico intervenne a tutela della volontà, della sensibilità e dell’autonomia degli studenti, che, non a maggioranza, ma all’unanimità avevano espresso la loro posizione e che, nel consiglio di classe del 3 novembre 2008, presente il docente, dichiararono che non si erano opposti alla decisione dell’insegnante di rimuovere il crocifisso per poi riappenderlo a fine lezione solo «per rispetto dell’autorità e per paura di una eventuale ritorsione nei loro confronti».

Il coinvolgimento della comunità scolastica è fortemente sottolineato nella sentenza 29 marzo 2013 n. 122 del Tribunale di Terni, sez. lavoro che afferma «sotto altro profilo, la reiterata indifferenza alla circolare del 21 ottobre 2008 e alle considerazioni emerse, al di là di formali deliberazioni, nell’ambito di riunioni collegiali (in particolare, nel consiglio di classe del 3 novembre 2008, allorché nessun insegnante, a eccezione del ricorrente, ebbe a manifestare qualsivoglia ragione per disattendere la scelta degli studenti, e nel consiglio d’istituto del 24 novembre 2008, laddove si stigmatizzarono le problematiche e le tensioni conseguenti alle scelte del docente, reputate come contrarie a un concetto di scuola come luogo di confronto, partecipazione, rispetto delle regole e degli altri) hanno comportato la violazione dei doveri e della correttezza inerenti alla funzione di insegnante. Infatti, nonostante la questione fosse stata affrontata e approfondita in tutte le sedi proprie della comunità scolastica, il docente, anziché tenere un comportamento che favorisse la 'sintesi' e l’armonia, in aperta violazione delle 'regole' che presiedono all’ordinata convivenza in ambito scolastico, volle, di fatto imporre le proprie opinioni, incurante di quello spirito pluralista e 'laico' di cui si professa sostenitore».

Giuseppe Metastasio, già dirigente scolastico dell’Istituto professionale 'Casagrande' di Terni

Avvenire, 14 settembre 2021