Il nome dell’iniziativa incute rispetto e invita ad approfondire la proposta: “Progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea teso a studiare le differenze nel rendimento scolastico di ragazzi e ragazze in Matematica”. Interessante, avranno pensato i numerosi dirigenti scolastici che hanno ricevuto l’invito ad aderire alla sperimentazione. Tanto più che da anni si racconta come, soprattutto nell’età dell’adolescenza, le capacità di apprendimento tra ragazzi e ragazze facciano registrare non poche differenze. Una buona occasione per approfondire la questione su base sperimentale e a costi zero. Il test viene infatti offerto gratuitamente. E gratuita è anche la correzione delle domande.
E poi come dubitare di una prova che arriva dalla Ue – Commissione comunitaria di informazione in materia di ricerca e sviluppo – e, per l’Italia, si avvale di un partner autorevole come la Sapienza di Roma? La responsabile dell’iniziativa è Clelia Cascella, docente di matematica per le Scienze sociali nell’ateneo romano. La email da cui il progetto è stato diffuso – secondo il senatore Lucio Malan che sulla vicenda ha già presentato un’interrogazione (vedi articolo qui sotto) – risulterebbe del Miur, anche se il ministero non sarebbe direttamente coinvolto nell’iniziativa. Guardando con più attenzione si scopre che il test è molto complesso, tanto che gli estensori consigliano alle scuole di lasciare ai ragazzi – dai 15 ai 18 anni anni – non meno di 120 minuti per la compilazione. Altro indizio evidente di serietà e di rigore.
Quando poi si scopre che il progetto è stato realizzato dall’Università di Manchester ed è già stato diffuso in vari Paesi europei attraverso importanti atenei locali, ogni perplessità è destinata a svanire. Il test prevede 70 domande. Le prime 30 riguardano effettivamente la matematica. Tutto un pullulare di grafici, rette, multipli, funzioni, statistiche su cui ragionare. Bene, bene. Si tratterà effettivamente di una sperimentazione molto accurata. Le successive 20 domande entrano nella sfera personale dei ragazzi. Si chiedono informazioni sul livello di istruzione dei genitori, sulle preferenze nelle varie materie e poi si indaga il rapporto con l’apprendimento della matematica. E anche qui nulla da eccepire.
Nel successivo paragrafo però si cominciano a confondere un po’ i piani e le domande cominciano ad apparire appena appena stravaganti: «Vado d’accordo con i miei genitori» (cosa mai potrà interessare ai ricercatori?), «Ho difficoltà a fare amicizia con le persone del mio stesso sesso?» (altro mistero), «Gli altri pensano che io sia di bell’aspetto? ». Davvero strano. Alla domanda 56 il progetto finalmente svela i suoi reali obiettivi. L’affermazione alla quale i ragazzi hanno l’opportunità di fornire una risposta con sei variazioni, dal «totalmente in disaccordo » al «totalmente d’accordo» è di questo tenore: «L’omosessualità maschile è solo un diverso stile di vita che non dovrebbe essere condannato». Altra affermazione, ancora più subdola: «Come in altre specie, l’omosessualità maschile è espressione naturale della sessualità negli uomini». Ma non è ancora abbastanza. Leggiamo: «L’omosessualità maschile è una perversione».
E ancora: «L’omosessualità femminile è un peccato». E si va avanti su questo piano per le successive venti domande con affermazioni che recitano tra l’altro, «È accettabile che una donna abbia rapporti sessuali con una persona appena conosciuta». Oppure: «Alcune gentilezze verso le donne sono umilianti perché le fanno sentire impotenti e relegate in un ruolo stereotipico», «si approva che una donna assuma un ruolo aggressivo in un rapporto sessuale». L’ultima questione arriva a indagare addirittura il tema dell’aborto: «Ogni donna ha il diritto se abortire o meno». C’è da inorridire. Sia per la complessità di questioni sottoposte a ragazzi che non hanno né le informazioni né la maturità per avventurarsi su terreni tanto scivolosi, sia perché tutto questo interrogatorio in salsa gender è infilato a sorpresa in un test finalizzato a scoprire le «differenze nel rendimento scolastico di ragazzi e ragazze in Matematica».
Cosa mai potranno dire degli adolescenti su omosessualità e dintorni quando le domande sono state raffinatamente formulate per indurre risposte di un certo tipo? Nella migliore delle ipotesi, pensando che poi qualche docente leggerà le loro risposte, si limiteranno al “culturalmente corretto” secondo la vulgata corrente. E cioè tenteranno di apparire aperti, disinibiti, tolleranti. Ma è facile prevedere anche il disorientamento nell’affrontare problemi così intimi e comunque così divisivi. Alcune scuole hanno accettato di sottoporre i ragazzi al test; altre l’hanno rifiutato; altre ancora hanno interpellato i genitori e rimandato la decisione a settembre. In qualche caso gli istituti sono stati fatti oggetto di proteste. «Un tentativo intollerabile di introdurre nelle scuole l’ideologia gender camuffata da test di matematica», ha commentato l’avvocato Simone Pillon, vicepresidente del Family Day, che per primo ha denunciato il caso.
Ma, secondo quanto siamo riusciti a sapere, in molte scuole l’iter non si è arrestato. E mentre la correzione delle domande di matematica è in corso, le domande più ideologiche sono state raccolte e – con la promessa dell’anonimato – inviate all’Università di Manchester, perché qui c’è il cervello dell’iniziativa. L’ideatore del progetto, il professor Julian Williams, si sarebbe messo in testa di dimostrare come le capacità matematiche siano strettamente correlate al grado di omofobia e all’apertura mentale dei ragazzi. Quando più si è gay-friendly, tanto più si è bravi in matematica. Interessante? Assurdo? Bizzaria di qualche militante lgbt? Non è questo il punto. L’aspetto scandaloso dell’iniziativa è che – se questo obiettivo fosse confermato – per dimostrare una tesi perlomeno strampalata si stanno usando i ragazzi di mezza Europa. Ma anche che alla Ue, cioè a tutti noi, questo progetto (come si legge nell’originale) sia costato 183.454,80 euro.
Luciano Moia
Avvenire, 13 giugno 2017