Periodicamente c’è chi solleva la questione dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) nella scuola avendo da eccepire su mille aspetti di una disciplina che – va ricordato preliminarmente – in Italia è regolata sul piano concordatario. Ma forse l’aspetto legale e normativo, che pure va tenuto presente in ogni discussione, non è quello più interessante. Avevo scritto e argomentato tempo fa su queste colonne che l’Irc è un fatto culturale, perché, essendo gli ultimi duemila anni della nostra Storia impregnati di cristianesimo, non si può studiare alcuna disciplina in maniera consapevole (dalla Storia stessa alla Letteratura, dalla Filosofia all’Arte ecc.) senza un’adeguata conoscenza del fatto religioso. Come ha opportunamente puntualizzato Marco Tarquinio rispondendo a una serie di interrogativi di un docente di Filosofia, il professor Andrea Atzeni, l’Irc non è 'catechesi' – cosa che si fa in parrocchia, in famiglia, comunque all’interno della stessa comunità cristiana – ma un’attività di altro tipo. Di tipo culturale, come si diceva, ma anche – vorrei aggiungere qui – di tipo esistenziale.
Spero che questa affermazione non desti ulteriori polemiche, ma posso testimoniare, da docente di Lettere al liceo che ha insegnato nel corso degli anni in diverse scuole, che spesso le uniche ore in cui gli studenti hanno la possibilità di confrontarsi tra di loro e con un docente sulle grandi questioni dell’esistenza (la vita, la morte, il dolore...), sui valori che rendono umano l’uomo (l’amore, l’amicizia, la solidarietà, l’accoglienza, l’ascolto, il rispetto...) e spesso anche sui temi della cittadinanza sono proprio quelle di Irc. Tutto questo, in verità, andrebbe fatto anche nelle ore delle altre materie. In molti casi si fa, ma in molti altri no, forse perché siamo tutti troppo tesi a 'svolgere il programma' e temiamo che la discussione su altri argomenti rischi di essere una perdita di tempo. Invece i docenti di Religione questo timore non ce l’hanno, perché il 'programma Dio' è così vasto che tanto non lo finirebbero comunque... Eccoli dunque accogliere le richieste di dialogo su ciò che accade nel mondo e su ciò che accade ai ragazzi nel loro vissuto quotidiano, senza la paura che si tratti di un tentativo strumentale di distrarli affinché quel giorno non interroghino, visto che in genere non interrogano in ogni caso.
Un’ultima notazione su un concetto che mi sta molto a cuore, avendo sempre avuto, da docente 'laico' di una materia 'laica' quale è la letteratura italiana, proficui rapporti di collaborazione con i colleghi di Irc. A differenza di noi insegnanti delle altre discipline, per i quali quello della valutazione è sempre un argomento ostico e controverso, i docenti di Religione vengono abitualmente valutati dai loro studenti: non essendo obbligatorio 'avvalersi' (come si dice in gergo) dell’Irc, se un professore di questa materia è scarso o poco stimolante, l’anno dopo basta decidere – appunto – di non avvalersi del suo insegnamento. Quale metodo di valutazione della didattica più efficace di questo?
Roberto Carnero
Avvenire, 7 luglio 2016