UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L’omofobia entra alle elementari

Legge Zan, nuovo emendamento ma restano forti perplessità e timori
4 Novembre 2020

Articolo 6, iniziative educative contro l’omofobia anche alle scuole elementari. Articolo 7, indagini statistiche sulla discriminazione di genere. Articolo 8, via libera ai centri anti-discriminazione. Ogni articolo della legge Zan di cui ieri approvato ieri dalla Camera – per oggi è previsto il voto finale – rappresenta un grande interrogativo e pone tanti dubbi che vanno a sommarsi a quelli già evidenziati la scorsa settimana, in riferimento alla prima parte della legge. Non tanto per le questioni in sé – che certamente vanno affrontate e regolate con norme efficaci visto che la maggioranza parlamentare considerate inadeguate quelle esistenti – e neppure per l’opportunità o meno di tutelare le vittime di discriminazioni e violenze. Un dovere fuori discussione. Ma, visto che ogni questione decisa a proposito di sesso, orientamento sessuale e identità di genere apre scenari che vanno a intrecciarsi strettamente con l’antropologia della differenza sessuale – che per noi credenti tra l’altro ha radici bibliche – diventa davvero complicato separare le buone intenzioni dei legislato- ri dalla cultura a senso unico che la orienta.

Così appaiono comprensibili le perplessità, e anche i timori per le eventuali ricadute culturali, che hanno accompagnato l’approvazione dell’articolo 6, che istituisce la Giornata nazionale contro l’omofobia, ma soprattutto estende anche alle scuole elementari iniziative educative «contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia ». Lo prevede un emendamento della maggioranza alla legge sulla omofobia approvato dalla Camera (favorevoli 254, contrari 195 e 6 gli astenuti). Il centrodestra, che aveva chiesto lo scrutinio segreto non accordato dalla presidenza, aveva anche presentato sub emendamenti che escludevano scuole elementari e medie da questi programmi e su questo c’è stato un lungo dibattito.

Così ora il comma 3 dell’articolo 6 recita: «In occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia – che sarà il 17 maggio – sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche e nelle scuole», comprese quelle elementari. L’ora di antidiscriminazione a scuola presenta – inutile nasconderlo – un rischio ideologico elevatissimo. Parlare di omofobia, lesbofobia, bifobia ai bambini delle elementari significa obbligare gli insegnanti ad affrontare temi di educazione sessuale molto specifici e complessi, ma con un orientamento definito dalla legge. Quanti saranno i docenti attrezzati per presentare in modo chiaro, e soprattutto equilibrato, sereno e rispettoso delle diverse sensibilità questi temi? E quanti, soprattutto, riusciranno a sfuggire agli schemi già delineati dalla legge?

Prima dell’approvazione del discusso articolo 6, l’Aula della Camera aveva dato il via libera anche all’articolo 7 che impegna tra l’altro l’Istat a presentare, con cadenza almeno triennale, statistiche sulla discriminazione di genere. L’articolo modifica il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, «in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere».

Dopo il comma 2 è stato inserito il '2-bis' che recita: «All’attuazione delle misure e degli specifici interventi di cui, rispettivamente, al secondo e al terzo periodo del comma 2-bis, le amministrazioni pubbliche competenti provvedono compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».

L’articolo 8, approvato subito dopo, riguarda il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità e istituisce i Centri contro la discriminazione. Iniziativa necessaria? Dipende, come sempre, da chi sarà chiamato a gestire queste strutture e con quale orientamento. I motivi di preoccupazione sono evidenti. Il testo dell’articolo spiega che il fondo viene «incrementato di 4 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, al fine di finanziare politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere e per il sostegno

delle vittime». E, come detto, si istituisce «un programma per la realizzazione, in tutto il territorio nazionale, di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere. I centri garantiscono adeguata assistenza legale, sanitaria, psicologica, di mediazione sociale e ove necessario adeguate condizioni di alloggio e di vitto alle vittime dei reati previsti dall’articolo 604-bis del codice penale, commessi per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere della vittima, ovvero di un reato aggravato, per le medesime ragioni», nonché i centri sono rivolti anche «a soggetti che si trovino in condizione di vulnerabilità legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere in ragione del contesto sociale e familiare di riferimento ». Ma non solo: «I centri svolgono la loro attività garantendo l’anonimato delle vittime e possono essere gestiti dagli enti locali, in forma singola o associata, nonché da associazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto ai soggetti di cui al medesimo comma».

Luciano Moia

Avvenire, 4 novembre 2020