UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Lo studio? È una scoperta continua

Due libri scritti da docenti riflettono sulla bellezza dell’apprendimento: ecco cosa dobbiamo augurarci
18 Settembre 2024

Pierpaolo Perretti confessa che avrebbe voluto intitolare il proprio saggio “Studiare per amore”. Ma l’ha battuto sul tempo Nicola Gardini, il cui libro era uscito qualche tempo prima: “Studiare per amore. Gioie e ragioni di un infinito incanto” (Garzanti, pagine 208, euro 16,90). È molto bello, però, anche il titolo scelto alla fine da Perretti: “Lo studio. Senso, sconcerto, bellezza” (Rubbettino, pagine 160, euro 16,00). In effetti, i volumi di Gardini (docente di Letteratura italiana e comparata all'Università di Oxford) e Perretti (docente di Materie letterarie al Liceo “Pitagora” di Rende, in provincia di Cosenza) sono due saggi perfettamente complementari, perché contengono le riflessioni di due professori appassionati al proprio lavoro. Una duplice lettura, perfetta come viatico per l'inizio del nuovo anno scolastico.

Molti ragazzi sarebbero portati ad associare il verbo “studiare” al sostantivo “obbligo”, più che ad “amore”. Come si può studiare “per amore”? Per Gardini si può studiare per amore «quando ci si sente padroni dei propri ragionamenti. Studiare è ragionare, è pensare, non è, come si tende a credere, inghiottire nozioni. Le nozioni servono, ma appartengono a una fase preliminare, la fase dell’apprendimento. Lo studio è altro: è molto di più dell’apprendimento; è scoperta. Chi non ha caro quello che scopre la sua mente? Chi non vuole possederlo fino in fondo e difenderlo e farne la chiave della sua vita? Occorre dare alle capacità intellettuali dei giovani più credito. Meno prescrizioni, più responsabilità. L’amore dello studio, allora, nascerà spontaneo, come tutti gli amori». Per Perretti quella dell'amore per lo studio, e nello studio, è la questione fondamentale: «Non esiste una formula segreta, ma a me pare necessario che la stessa domanda entri nella coscienza dello studente. È il ragazzo stesso che dovrebbe chiedersi come e perché amare lo studio. Porsi questa domanda, magari accompagnati dallo stimolo dell’insegnante, è il primo passo per amare. In genere, riteniamo che l’amore sia un sentimento spontaneo, autogenerato, ma sottovalutiamo quella dimensione volontaria che, sebbene non totalizzante, è operante in qualunque rapporto d’amore, anche quello tra persone. Non amiamo solo perché “lo sentiamo”, molto spesso amiamo anche perché lo vogliamo, lo abbiamo deciso, lo riteniamo importante. Credo che sia così anche nel caso dello studio e mi sembra indispensabile valorizzare questa dimensione. È bene che lo studio eserciti un’attrazione, ma nessuna attrazione, anche se sorta spontaneamente, può essere duratura. La persona che vuole studiare deve anche impegnarsi nel cercarne la bellezza; la deve cercare, per così dire, con il lanternino, scoprire che essa è data ma non esibita nell’attimo. Con uno slogan direi che per avere un rapporto significativo con lo studio è giusto amare lo studio, ma è bene soprattutto studiare l’amore».

Un insegnamento che voglia essere efficace deve sempre produrre un mutamento in positivo. Qual è il principale cambiamento che dobbiamo sperare, come docenti? L'auspicio principale che Perretti rivolge a se stesso da insegnante è che i ragazzi che si avvicinano allo studio percepiscano lo stretto rapporto tra ciò che studieranno e la loro stessa vita: «Il problema non è tanto l’obbligo, che rimane pur necessario nella nostra quotidianità, quanto il senso di inutilità che pervade le ore passate davanti alla scrivania o in classe. Riscoprire il legame tra vita e studio è l’unico mezzo in grado di restituire senso allo studio. E il senso dello studio, per chi ad esso è in qualche modo obbligato, è parte decisiva del senso stesso della sua esistenza». «Dobbiamo auspicare», risponde Gardini, «che lo studio dia allo studente il senso della molteplicità dei punti di vista e della vastità dell’esperienza umana. Ormai siamo governati dagli algoritmi e dal culto dei big data. Si archiviano quantità immense di informazioni e ci si aspetta, anzi si pretende che queste formino il futuro. Il futuro, invece, deve essere sempre nuovo, e nuovo sempre sarà, per quante predizioni si riescano a fare sulla base del vecchio. Né si arriva alla conoscenza per un’unica via, o per vie già battute. La scuola deve e può contrastare questa tendenza avendo più cura dei vari percorsi attraverso cui si arriva a conoscere qualunque cosa. Per ora, pur con tutte le trasformazioni degli ultimi anni, si presenta più come una fabbrica di risposte che come un laboratorio di domande».

Ma affinché si inneschi un simile processo virtuoso, quanto dipende dal docente e quanto dallo studente? Per Gardini è fondamentale che il docente sappia dare il buon esempio, mostrandosi aperto, curioso, impegnato, gioioso: «Deve fare da guida e deve dare fiducia, e trasmettere la sua gioia. Il resto, cioè quasi tutto, sarà nelle mani dello studente. E ogni studente farà quello che potrà fare, secondo le sue propensioni, le sue capacità, le sue energie, i suoi stati d’animo. Anche questo la scuola deve arrivare a concepire una volta per tutte: che ognuno è diverso e ognuno rende in modo diverso. Le valutazioni numeriche presuppongono standard universali che non tengono conto delle diversità individuali. E così si continuano a commettere molte ingiustizie, deprimendo o sprecando risorse preziose e condannando all’infelicità molti giovani». Su quest'ultimo punto, invece, Perretti appare piuttosto critico: «Ultimamente nutro una certa intolleranza nei confronti di una retorica ormai diffusa, tutta rivolta ad enfatizzare solo i doveri dell’insegnante che dovrebbe ottenere frutti con chissà quali trucchi segreti. L’opera più grande di un insegnante dovrebbe essere quella di risvegliare il “maestro interiore” che così tante volte sonnecchia nel ragazzo: è quello il vero protagonista di ogni vero studio. Il ragazzo dovrebbe prendere coscienza di questa presenza e sapere che chiamarlo maestro non esclude che sia suo amico».

I docenti, però, dovrebbero stare attenti a non commettere alcuni errori in verità piuttosto comuni. Confessa Perretti: «Le parole sono fondamentali, ma ogni cuore umano, da quello del ragazzo più svogliato a quello del più motivato, essenzialmente avverte l’emozione dell’altra persona, che questa stia spiegando o perfino rimproverando. Quel sentimento è l’unico seme che può avere la speranza di germogliare: la tentazione di molti è ridurre la vera identità dell'insegnante all’assolvimento di obblighi burocratici, trascurando di preservare quel seme. Un altro errore, altrettanto grave, è quello di rassegnarsi alla mancanza di desiderio e alla pigrizia di tanti ragazzi, che purtroppo viene sempre più spesso ammessa in tante scuole». Secondo Gardini, bisogna dare più spazio agli studenti e ascoltarli con curiosità: «I ragazzi, anche i meno portati, si rivelano capaci di stupende intuizioni, quando possono esprimersi. Che lavorino di più da soli e in gruppo. Impareranno più rapidamente e più efficacemente a organizzare i pensieri e i discorsi». Quale, dunque, l'augurio agli studenti per il nuovo anno scolastico? Gardini: «Il mio augurio è che amino lo studio. “Amare lo studio” è, etimologicamente, una tautologia. “Studium” in latino, infatti, significa “amore”. Solo lo studio rende forti e liberi. L’amore dello studio è amore della vita. Questo auguro loro: amate la vita e cercate, grazie a questo amore, di capirla il più possibile». Perretti: «Auguro ai ragazzi che il loro percorso intellettuale passi dalla costrizione, legata alla performance e a quei “risultati apparenti” che spesso sono i voti, alla vera convinzione. Ognuno dovrebbe far propria questa visione: “Studio perché ne ho bisogno, per la mia felicità”».

Roberto Carnero

Avvenire, 17 settembre 2024