L’Italia rimane fondamentalmente un Paese cattolico, che si riconosce nei valori della fede cristiana e che dedica del tempo alla preghiera, ma la pratica religiosa sta diventando sempre più individualista e fatica a trovare posto nell’esperienza offerta dalla comunità ecclesiale. È questo ritratto, offerto da una ricerca condotta dal Censis per conto della Conferenza episcopale italiana, a provocare la Chiesa italiana, alla vigilia della prima Assemblea sinodale, in programma il prossimo fine settimana. L’indagine è stata svolta nel periodo dal 27 settembre al 1° ottobre 2024, su un campione rappresentativo di mille adulti, ed è stata realizzata proprio nell’ambito del cammino avviato dalla Chiesa italiana tre anni fa. Ne emerge una sfida epocale, con i suoi chiari punti critici ma non priva di opportunità, che possono fare da traino per un rilancio della vita di fede.
Il dato fondamentale è che gli italiani che si definiscono cattolici sono il 71,1% della popolazione: il 15,3% si dice praticante, il 34,9% dichiara di partecipare solo occasionalmente alle attività della Chiesa e il 20,9% afferma di essere “cattolico non praticante”. Di certo, in questo quadro, il dato più significativo, quello che indica la priorità da mettere in testa alla lista delle questioni da tenere presente in un dibattito sul futuro della Chiesa, è quello riguardante i giovani: nella fascia dai 18 ai 34 anni, infatti, scende al 58,3% la percentuale di coloro che si dichiarano cattolici secondo varie “gradazioni” (i praticanti sarebbero il 10,9%). Ma cos’è che spinge il 55,8% degli italiani a una pratica saltuaria o assente, pur pensandosi cattolici? Il principale motivo pare essere una forma di “individualismo religioso”. Più di metà di coloro che di fatto rimangono distanti dalla pratica regolare (il 56,1%) dicono di farlo perché vivono “interiormente” la fede.
La Chiesa nel Paese
Questi numeri fanno il paio con quello di coloro che non si riconoscono nella Chiesa cattolica: 4 italiani su 10. Tra i praticanti, e quindi i più fedeli, poco meno del 15% dice di non ritrovarsi dentro la Chiesa così com’è oggi. Anche qui la ricerca indaga le ragioni e ne emerge che, tra coloro che non si sentono lontani da questa Chiesa, il 45,1% dice che è perché è troppo antica, il 27,8% perché non vede “una linea chiara” nella Chiesa stessa. Solo l’8,9% dice di non riconoscersi perché non ci sono donne in posizione di vertice (tra la popolazione femminile la percentuale sale al 12,4%). Il 43,6% degli italiani (il 46,5% delle donne) ritiene che la Chiesa cattolica italiana sia un’istituzione maschilista, percentuale che tra i cattolici praticanti scende al 23,9%.
«La zona grigia nella Chiesa di oggi, quindi – sostiene il presidente del Censis, Giuseppe De Rita –, è il risultato dell’individualismo imperante, certo, ma anche di una Chiesa che fatica ad indicare un “oltre”, la Chiesa ha sempre aiutato la società italiana ad andare oltre, deve ritrovare questa sua capacità, perché una Chiesa solo orizzontale non intercetta chi è ubriaco di individualismo, perché a costoro non basta sostituire l’Io con un “noi”, hanno bisogno di un oltre, hanno bisogno di andare oltre l’io; non è un caso - e dovrebbe preoccuparci come cattolici - che nel mondo stiano vincendo gli “oltranzismi”».
Le fila dei cattolici oggi si assottigliano, ma solo una minoranza crede nella filosofia del “pochi ma buoni”: il 13,9% dei praticanti pensa che vada bene così, mentre per il 60,8% la Chiesa dovrebbe adattarsi alle mutate condizioni del mondo contemporaneo. Il discredito nei confronti dell’esperienza ecclesiale viene anche da una questione dolorosa: gli abusi. Realtà che mina la credibilità della Chiesa per quasi 7 italiani su 10 (6 su 10 tra i praticanti).
Indagando le ragioni dell’abbandono della pratica all’interno della comunità ecclesiale, la ricerca del Censis rivela che al primo posto sembra esserci la tendenza, da parte della Chiesa, a emarginare i “fedeli di valore” o quelli più intraprendenti: lo pensa il 49,2% degli italiani (tra i praticanti la percentuale scende al 38,1%). Dietro, quindi, c’è il desiderio di una Chiesa più coraggiosa, capace di dare più spazio ai laici.
Le radici cattoliche
L’Italia nella sua identità culturale rimane cattolica: solo il 5,4% della popolazione dichiara di essere stato educato in un ambito “anti-cattolico”, mentre il 79,8% dice che la sua base culturale è di ispirazione cattolica. Infine, il 61,4% si dice d’accordo con l’affermazione che il cattolicesimo è parte integrante dell’identità nazionale (anche il 41,4% dei non credenti).
E anche i simboli religiosi continuano ad avere in qualche modo un posto: davanti al segno della croce, ad esempio, il 34,5% dice di rispettare questo gesto e per il 54,8% fa parte del sentire personale. Il 41% della popolazione, poi, si riconosce nella devozione alla Madonna, figura rispettata anche tra il 36,7% dei non credenti. Tra i credenti c’è una nota di nostalgia per i “bei riti di un tempo”: a rimpiangerli sono il 43,9% dei praticanti (solo tra il 27,8% della popolazione generale, però).
E i contenuti della fede? Per il 45,5% degli italiani le parole di Gesù sono tra gli insegnamenti spirituali migliori di cui disponiamo e per il 16,3% essi ispirano la vita. Guardando al rapporto con i preti, su 10 italiani, 4 li vedono come delle persone da cui andare a farsi consigliare, 2 non esprimono un’opinione e altri 4 rifiutano l’idea.
Per quanto riguarda l’idea di un partito dall’identità cristiana solo un italiano su dieci crede con decisione che esso potrebbe avere una certa forza nella società, il 37,4% pensa che non l’avrebbe, mentre gli altri hanno posizioni intermedie. Tra i praticanti il 23,2% appoggia l’idea di un partito con un peso nella società, il 19,4% dice con certezza che non avrebbe forza, i rimanenti pensano che ne potrebbe avere in parte, oppure non sanno dare una risposta.
La vita spirituale
Il 66% degli italiani dichiara di “pregare” o comunque di rivolgersi a Dio o ad un’altra entità superiore: lo fa anche il 65,6% dei non praticanti e addirittura l’11,5% dei non credenti. Si parla però di una preghiera legata non alla liturgia comunitaria, quanto piuttosto a situazioni esistenziali individuali: il 39,4% degli italiani prega quando vive un’emozione, il 33,5% quando ha paura e vuole chiedere aiuto. Anche tra i praticanti solo l’8,8% dichiara di pregare all’interno di un rito.
Per quanto riguarda la vita dopo la morte, il 58% degli abitanti della Penisola crede che esista (l’87,7% tra i praticanti). Tra coloro che ci credono il 61,7% ritiene che sarà diversa tra chi si è comportato male e chi invece si è comportato bene nella vita presente, pensa quindi che ci sarà un “giudizio” e questo orienta le scelte di vita per circa il 53,6%. Sette italiani su 10 dicono che la vita spirituale resta un’esigenza importante, ma per il 52,7% si tratta di un’esperienza individuale. Ed ecco che si torna quindi alla questione iniziale, cuore anche del Cammino sinodale: come può la Chiesa oggi intercettare questi bisogni e queste esigenze dando risposte credibili ed efficaci, costruendo così comunità calde, partecipate e aperte al mondo? La sfida è impegnativa, ma la voglia di mettersi in gioco è dimostrata dalle energie spese in questi anni proprio nel cammino di confronto diffuso sul territorio e che arriverà nei prossimi giorni a una nuova importante tappa con la prima Assemblea sinodale alla presenza di mille delegati da tutte le diocesi d’Italia.
Matteo Liut
Avvenire, 10 novembre 2024