È un tema che mai si è finito di indagare, una questione sulla quale mai si riflette abbastanza: quale è la direzione di senso dell’essere scuola dell’infanzia? Perché si fa scuola? Perché si lavora a scuola? Le Insegnanti lo dicono con chiarezza: si fa scuola per educare. È un tema che torna continuamente alla luce quando si incontrano le maestre e con loro si discute. È un tornare necessario perché orienta la loro azione e getta luce sulle loro pratiche quotidiane. Le parole delle maestre fanno eco (un’eco che nasce dall’esperienza e dalla riflessione su di essa) a quanto l’allora ministro dell’istruzione Fioroni dichiarò nell’Introduzione alle Indicazioni Nazionali del 2007: «fine della scuola è educare istruendo ». L’istruzione, azione tipica della scuola, è solo lo strumento per un fine che è l’educare.
Parole non scontate - né quelle del ministro, né quelle delle maestre - in un contesto che fa della retorica delle competenze e della spendibilità degli apprendimenti il proprio linguaggio. Quando Maria parla del suo essere insegnante lo descrive nei termini di una relazione educativa e lo fa con parole fresche e immediate: «C’è una relazione non solo formale tra insegnante e alunno. Non c’è una relazione 'insegnativa' ma educativa, un’esigenza di guida, di accompagnamento, di relazione». Chiediamo a Maria e alle sue colleghe di chiarire meglio cosa intendono, così aggiungono che: «Un insegnante va al di là del puro compito di insegnamento, è attento non solo al puro apprendimento ma alla salute mentale, affettiva dell’alunno ». Un insegnante educa, cioè ricorda che di fronte a sé non ha una testa da riempire o da allenare; nemmeno un comportamento da addestrare, ma una persona 'intera', fatta di tante dimensioni tenute insieme in quella complessità che costituisce l’identità unica e irripetibile di ciascuno.
Ancora una volta l’esperienza di Maria, come delle tante insegnanti che mettono passione nel loro lavoro, fa risuonare le parole delle Indicazioni Nazionali che affermano che a scuola ogni bambino è «posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi ». Un insegnante educa, cioè, come dice Maria, è «un insegnante che sa prendersi cura». Prendersi cura: questa parola è la versione italiana del termine educare della cultura latina, parola che descrive i gesti fondamentali del coltivare, allevare, aver cura. Spesso ci si riferisce a una etimologia che fa dell’educa-È re la versione della socratica arte maieutica, l’ex-ducere che permette a ciascuno di 'tirar fuori' la propria originalità e di esprimerla nelle forme della soggettività.
Certamente educare è un’azione che fa 'tirar fuori' a ciascuno quello che è, ma questo è solo un primo livello. Sarebbe infatti un’illusione pensare che la sola maieutica formi un essere umano: siamo figli di una lunga cultura, fruttuosa coltivazione di senso e di proposte buone per la vita, che veicolano possibilità alla vita stessa di dischiudersi. Educare è infatti anche un edere, nutrire di beni e valori le nuove generazioni. È anche un ex-ducere in quel senso più ampio che ci consegna il filosofo Jan Patocka: tirar fuori le persone dal labirinto del non senso, dell’ambiguità e della non-verità. Ma è soprattutto un aver cura, la coltivazione del bene dell’altro.
Educare è quell’arte che permette a ogni bambino di crescere in tutte le sue dimensioni; con gli altri, in una relazione che costituisce la persona stessa; per gli altri, in una logica del dono che costituisce la comunità; dentro la città di tutti, nella continua ricerca del bene comune e della giustizia. Educare è dare forma a una vita; aver cura che essa assuma la sua propria forma nel modo migliore possibile, che sia nutrita di bene, di bellezza e di verità; che sia capace di vedere gli altri come fratelli e compagni, persone con le quali condividere il pane. È in questa azione, educare, che ritroviamo il senso dell’essere scuola. Il progetto educativo delle scuole Fism si può riassumere, citando le parole del documento dei vescovi italiani per il decennio 2010-2020, come 'educare alla vita buona'. Educare alla vita buona è prima di tutto educare al fatto che la vita è buona, un’avventura che val la pena di essere vissuta, un luogo accogliente che attende il contributo irrinunciabile di ciascuno per costruire insieme la comunità dei fratelli. Forse in questo sta anche la novità continua dell’Evangelo. Educare è un’azione che chiama a una grande responsabilità, che dà forma a una vocazione che con entusiasmo va percorsa. E allora, come afferma la maestra Giusy: «Non puoi fermarti mai, neanche quando sono tanti anni che fai la maestra».
Marco Ubbiali
Avvenire, 30 luglio 2019