Il campionario è vario: ragazzi “costretti” dal professore a bendarsi gli occhi durante l’interrogazione per non sbirciare gli appunti, docenti che hanno acquistato lavagne da inquadrare al pc su cui scrivono col gesso, ma anche insegnanti che non hanno ancora iniziato a fare lezioni online. Un mese dopo la chiusura delle scuole causa emergenza sanitaria, la situazione è ancora sfaccettata e complessa, come sfaccettate e complesse sono le competenze digitali del corpo docente. Che da un giorno all’altro si è trovato a dover fare, con gli strumenti a disposizione, didattica a distanza. Per molti, una dimensione ignota e inesplorata.
Esistevano già forme di lezione da remoto – Scuola in ospedale e Istruzione domiciliare – ma, appunto, per alunni con problemi di salute spesso prolungata. Qui invece si tratta di tenere lezioni per settimane o mesi da casa, per allievi che a loro volta sono a casa. E allora ci si attrezza, ci si arrangia, ci si ingegna, ed è innegabile che anche i meno esperti si siano dati da fare. Ma quando la situazione tornerà alla normalità, che cosa ne rimarrà di questa esperienza di scuola 4.0?
«Non è un modello da trasferire in toto quando tutto questo finirà – precisa dall’Università Bicocca Elisabetta Nigris, delegata della rettrice per la Formazione insegnanti – perché non è in grado di supplire completamente alla complessità del processo di insegnamento–apprendimento in presenza didattica e alla funzione della scuola», luogo di incontro e laboratorio sociale. Tecnologia sì, ma solo quando è strettamente necessaria, anche perché non tutti i ragazzi hanno a disposizione tablet e pc. Si stima che un 10–15% sia irraggiungibile in questo momento critico. A Milano si sono attivati i privati con donazioni al Comune (Lenovo ha regalato 150 computer) da far pervenire ai giovani, ma la situazione è articolata. Inoltre questa esperienza «ha messo in evidenza un problema che molti insegnanti non vedevano: quello di raggiungere tutti i ragazzi. In classe è più immediato pensare di farlo, perché gli alunni sono lì, presenti fisicamente. Ma capita che non ci siano con la testa, siano distratti – spiega Nigris –. Da casa dobbiamo trovare altri modi per assicurarci che siano con noi. Chi riesce a fare didattica a distanza in modo efficace è chi aveva già un’idea non cattedratica e contenutistica dell’insegnamento, e che sapeva agganciare i ragazzi».
Gli strumenti possono aiutare: «l’immagine in time–lapse di una gemma che sboccia è emozionante per i piccoli». Integrare con un video, un’immagine, una storia o una lettura significativa per loro può completare, arricchire, interconnettere.
E allora, come raggiungere i giovani? «Il problema ora non è rimanere indietro sul programma o avere un voto sul registro. Ma accompagnare i ragazzi in un’esperienza esistenziale che sta stravolgendo le nostre vite, con tutte le risorse a disposizione. Ci sarà una parte della scuola che penserà di aver perso tempo e che i ragazzi si sono impigriti in questi mesi – conclude Nigris – ma non è così». Molto dipende dagli insegnanti e dai loro metodi.
Caterina Maconi
Avvenire Milano, 29 marzo 2020