Se ne torna a parlare periodicamente, è una sorta di tormentone del dibattito pubblico sulla scuola. L’ultima volta è stato a ridosso delle scorse vacanze di Natale, quando il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha riacceso la vexata quaestio. Parliamo dei compiti per casa, che qualche volta sembrano assurgere al rango di affare di Stato.
Accusati di essere un peso inutile, di distogliere i ragazzi da più salubri attività (sport, passeggiate all’aria aperta ecc.) ma anche dalla possibilità di passare più tempo con i familiari, i compiti vengono sempre più messi in discussione. Ora un libro di Maurizio Parodi, Così impari. Per una scuola senza compiti (Castelvecchi, pagine 176, euro 17,50), prende di petto la questione sposando una tesi molto netta: del lavoro scolastico a casa si può fare tranquillamente a meno. Il volume - scritto da un dirigente scolastico, che si occupa di ricerca e formazione, non ancora rassegnato, come scrive, «all’impermeabilità degli apparati educativi» - riporta esperienze e testimonianze di 'docenti a compiti zero', quelli, cioè, che non assegnano affatto compiti. Si tratta - ça va sans dire - di una minoranza, ma di un manipolo agguerrito, che sostiene a spada tratta l’efficacia didattica di una scuola senza compiti, in linea - spiegano - «con i Paesi europei che si collocano ai vertici delle classifiche mondiali per la qualità del servizio scolastico».
Parodi affronta il tema in chiave storica, pedagogica e sociale. «La quasi totalità dei docenti italiani - scrive - e la maggior parte dei genitori reputano normale l’assegnazione dei compiti a casa (per molti studenti una sofferenza insopportabile al punto da causare l’abbandono scolastico). Eppure non è obbligatorio, non è neppure consigliato, dalle 'autorità competenti'; al contrario: le rare occasioni nelle quali il ministero della Pubblica Istruzione ha affrontato il tema dei compiti, è stato per raccomandarne la riduzione o l’eliminazione». L’autore individua alla base della prassi dell’assegnazione dei compiti un’acritica sudditanza ad abitudini inveterate, mai messe in discussione (per cui alla 'normalità' viene attribuito un valore a prescindere da ogni considerazione critica), e a pregiudizi come quello per cui insegnamento e apprendimento sarebbero due fasi separate che debbano avvenire in luoghi e momenti diversi (a scuola si insegna, a casa si impara).
Non tutto del libro di Parodi convince sino in fondo. Sia chiaro: un eccesso di carico di lavoro domestico va senz’altro censurato, e sarebbe bene che i docenti di uno stesso consiglio di classe si confrontassero tra loro per distribuirlo in maniera razionale. Prima di abolirlo del tutto, però, pensiamoci bene. Detto questo, va riconosciuto che il saggio di Parodi è senza dubbio un utile contributo, ben strutturato e ben documentato, a una discussione che siamo certi continuerà nei mesi e negli anni a venire.
Roberto Carnero
Avvenire, 2 marzo 2019