UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L’esperienza della tecnologia, frontiera da esplorare

Nato come iniziativa dell’intera Università, lo Humane Technology Lab si occupa dell’influenza esercitata dal digitale
14 Ottobre 2021

Nel giardino segreto si entra seguendo il ritmo del proprio respiro, avvertendo la brezza che agita gli alberi, aspettando che la porta di bambù si apra lentamente. Disponibile in diverse lingue nel sito www.covidfeelgood.com, questo itinerario alla ricerca della quiete interiore è una realizzazione di cui Giuseppe Riva va decisamente orgoglioso. Professore di Psicologia della Comunicazione e di Psicotecnologie per il Benessere, da qualche mese Riva è direttore dello Humane Technology Lab, il laboratorio multidisciplinare istituito dall’Università Cattolica per analizzare il rapporto fra esperienza umana e tecnologia. Si tratta di una realtà che prevede la collaborazione di tutte le Facoltà dell’ateneo e alla quale Psicologia contribuisce in maniera peculiare.

«Davanti a problematiche di questa portata ciascuna disciplina si presenta con interrogativi specifici, che per essere affrontati in modo appropriato devono essere ricondotti a una prospettiva unitaria», afferma Riva. La psicologia si muove da tempo su questo crinale. «Apprezzando i vantaggi e denunciando i rischi», prosegue lo studioso, autore anche di numerosi saggi, tra cui il fortunato Selfie edito dal Mulino. I social network restano uno dei suoi argomenti privilegiati. «Erano nati con la promessa di superare il modello dei media tradizionali – ricorda Riva –, ma con il tempo ci siamo dovuti rendere conto di come i social sono ancora meno inclusivi di quanto lo fosse la televisione. Il sogno di una rete di relazioni estesa sta cedendo il passo a una rinnovata attenzione verso l’individuo e le sue aspettative».

Ancora una volta, la pandemia ha posto le condizioni per un gigantesco esperimento collettivo. «I contatti da remoto si sono moltiplicati senza che diminuisse il disagio provocato dall’isolamento», sintetizza Riva. È un’impressione che avvertono in molti, ma che in questo caso poggia su considerazioni scientifiche ben documentate. «In uno studio condotto con alcuni colleghi, tra cui Fabrizia Mantovani della Bicocca, abbiamo verificato quali siano state le conseguenze delle interminabili sessioni di riunione in videoconferenza e di didattica a distanza durante il lockdown – spiega Riva –. Il dato più allarmante è la placelessness, ovvero il mancato ancoraggio dell’esperienza a un luogo fisico. I coniugi Moser, vincitori del Nobel per la Medicina nel 2014, hanno dimostrato quanto siano indispensabili i cosiddetti “neuroni Gps”, grazie ai quali ogni nozione che apprendiamo e ogni emozione che proviamo si ricollega a una determinata informazione spaziale. In videoconferenza non esiste nulla di simile, è come se tutto avvenisse in un continuum che non riesce a incidere sulla nostra attività cerebrale. Non bisogna meravigliarsi se per uno studente in Dad la lezione di matematica si confonde con quella di storia».

Non a caso, l’esperienza di Covid Feel Good punta a ristabilire la centralità dell’esperienza del luogo, attraverso una serie di ambienti digitali fortemente riconoscibili. «Possiamo considerarlo un utilizzo virtuoso della tecnologia – dice Riva –, ma non dimentichiamo che dalla tecnologia stessa derivano patologie del tutto nuove, molte delle quali non ancora censite a livello clinico. I progressi attesi per i prossimi anni allargheranno ulteriormente lo spettro delle problematiche di cui lo Humane Technology Lab intende occuparsi. Pensi alle implicazioni della robotica umanoide, pensi ai dilemmi suscitati dal ricorso all’intelligenza artificiale. Chi è veramente responsabile, se un androide sbaglia? A Giurisprudenza se lo stanno già chiedendo. E noi psicologi siamo lieti di poter contribuire».

Alessandro Zaccuri

Avvenire, 7 ottobre 2021