Caro direttore, rileggendo un testo scritto qualche giorno prima, capita di frequente che ci si accorga di qualche svista, di qualche dimenticanza o di un’espressione poco felice che si ritenga di dover emendare, anche a costo di spazientire il redattore di un giornale, che aveva già iniziato a impaginare quel testo. Se poi si tratta addirittura della Gazzetta Ufficiale della Repubblica, si può immaginare che qualcuno senta non solo il bisogno, ma anche il dovere di leggere e rileggere il testo, e di suggerire qualche emendamento, sperando di giungere in tempo, prima che partano le rotative del Poligrafico. Alludo in questo caso al testo unificato elaborato dal Comitato ristretto della Commissione Cultura della Camera, datato 17 aprile, intitolato 'Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica'. Si è deciso di mandarlo in Aula a Montecitorio lunedì prossimo, 29 aprile, e successivamente in Senato, per l’approvazione definitiva. In 12 articoli e in pochi giorni si è concentrato il frutto di una quindicina di proposte di legge di iniziativa parlamentare e di una proposta di legge d’iniziativa popolare, elaborata dall’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci), che ha raccolto 100mila firme. Un patrimonio non da poco, per un Paese affaticato e disorientato. Bisognerebbe metterlo a frutto, non rischiare di sperperarlo per la fretta.
Nel 2008 fu varata la legge n. 169, che finalizza la sensibilizzazione e la formazione del personale all’acquisizione, nel primo e nel secondo ciclo delle conoscenze e competenze relative a 'Cittadinanza e Costituzione'. Un suo sviluppo, con relative indicazioni programmatiche tuttora fruibili dalla scuola, si trova nel 'Documento d’indirizzo per la sperimentazione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione' (4 marzo 2009, prot. MIUR 2079). Insomma, non siamo all’anno zero. Disponiamo di documenti ufficiali, approvati dal Consiglio nazionale della pubblica istruzione (Cnpi), firmati da ministri di diversi orientamenti politici e patrimonio della storia culturale del Paese. Hanno solo bisogno di essere ripensati, chiariti, resi efficaci, integrati in vista di un atteso Testo Unico della scuola, non abbandonati e sostituiti con soluzioni improvvisate. Poiché però, parlando diplomaticamente, non tutti i ministri, i funzionari i politici e i docenti dell’ultimo decennio hanno dedicato un tempo adeguato per interpretare e applicare negli ordinamenti e nella vita scolastica le sintetiche e un po’ rachitiche, ma anche chiare espressioni della legge 169, tuttora vigente (e ricuperata dal decreto legislativo 62/2017 sulla valutazione), si finì per lasciarla deperire, e svanire nella nebbia, con la relativa ragionevole Circolare ministeriale 86/2010. Col risultato che l’Anci, nella sua proposta di legge d’iniziativa popolare, ha parlato nel titolo solo di educazione alla cittadinanza (anche se tra i contenuti si cita ampiamente la Costituzione); e altri parlamentari parlano solo di educazione civica, per rilanciarne il ruolo, o addirittura di educazione civica trasversale, espressione usata nel testo unificato, che definirebbe per legge la 'nuova' disciplina, al posto della vigente Cittadinanza e Costituzione.
E perché allora non chiamare trasversale anche l’italiano, che è utilizzato e insegnato, oltre che dal docente di lettere, anche dai docenti di tutte le discipline? Perché elevare a categoria pedagogica e curricolare, con impreviste conseguenze, relative alle cattedre e agli orari, questo aggettivo coniato nel dibattito didattichese, allo scopo di spalmare su tutti i docenti l’ampia tematica etico-socio-giuridico-civico-politica, per dimostrare che questa non avrebbe anche dignità disciplinare e che quindi la scuola potrebbe in merito risparmiare tempo, soldi e fatica?
Al contrario, la legge 169/2008, riconoscendo implicitamente a tutte le discipline e a tutte le attività della scuola i caratteri di educazione e di cultura, si è sforzata di concentrare l’attenzione sull’educazione alla cittadinanza e sull’insegnamento della Costituzione. Insomma 'et et', non 'aut aut'. La forse moribonda legge 169 parla di impegno a sensibilizzare tutti i docenti da un lato e dall’altro a formare quelli cui veniva assegnato il compito specifico d’insegnare questa quasi disciplina. Anche finanziariamente gli impegni previsti (purtroppo solo sulla carta) erano diversi. Non omnia omnibus. Perché allora buttare a mare, dopo un decennio, quel binomio di Cittadinanza e Costituzione, con tutto il lavoro di elaborazione teorica, amministrativa e didattica, fatto anche a livello universitario per i futuri docenti (e tutt’ora in corso, perché fa parte degli esami di maturità), per trovare una mediazione alta fra i due più diffusi e più profondi aggregati concettuali oggi disponibili in termini di spendibilità internazionale (cittadinanza) e di sano patriottismo italiano ed europeo (Costituzione), fra loro distinti e interconnessi?
La scelta del 2008, in continuità evolutiva col dpr Moro del 1958, ha giustamente riconosciuto sia l’impegno di tutti i docenti nei riguardi dell’educazione ai valori costituzionali, sia «l’opportunità evidente di una sintesi organica, che consiglia di dare ad essa un quadro e perciò di indicare orario e programmi», designando «per questo compito l’insegnante di storia». Certo due ore al mese, senza voto distinto, erano poche, ma allora non si poteva fare di più. E tuttavia il programma con relativo esame per abilitare i docenti di storia ha continuato a prevedere concorsi per 'Storia ed Educazione Civica', dimenticando però di sostituire nella tabella dei programmi l’espressione E.C., con CeC, col risultato di liberare la storia dal suo peso, ma anche di sottrarle il suo tesoro. Si sentì in seguito il bisogno di ricorrere ai docenti di diritto, a partire dalla sperimentazione Brocca, per le scuole del secondo ciclo. Dal punto di vista concettuale e didattico la Costituzione non è dominio riservato del laureato in legge, come la storia non è dominio riservato dell’insegnante di lettere, storia e filosofia. Per cui, dopo la guerra fra disciplinaristi e trasversalisti, non sarebbe saggio fare la guerra fra storici e giuristi, per accaparrarsi a prescindere le cattedre di C& C, o comunque la si chiami. La legge dovrebbe aprire ad entrambe le ipotesi e impegnare il Miur a trovare soluzioni gestibili e non conflittuali.
In prospettiva, si dovrebbe pensare a semestri universitari integrativi per armonizzare competenze psicopedagogiche e competenze giuridiche. Per ora però occorre guardare al quadro demografico, economico, alla disponibilità numerica e volontaria dei docenti di diritto e non solo, alla chiarezza, alla praticabilità amministrativa e al miglior uso delle risorse disponibili. Se no, è meglio non affrettare il varo della legge. Per la fretta, la legge 107/2015 sull’autonomia ha dimenticato di nominare la Costituzione. L’attuale testo unificato dice che gli alunni devono avvicinarsi ai contenuti della Carta costituzionale e aggiunge che sono attivate iniziative per lo studio degli statuti regionali. È solo una svista? Si vorrebbe che questa nuova legge, a lungo attesa, non fallisse per qualche più o meno grave disattenzione, ma rimettesse in moto un percorso riformatore che non si potrebbe interrompere senza vergogna nei riguardi delle giovani generazioni. Nel dibattito parlamentare, in sostanza, si dovrebbe riuscire a evitare due rischi: quello di rendere la legge troppo povera di una 'cultura educativa', che aiuti i giovani a distinguere e a connettere a livello alto e motivante, valori, diritti, doveri, princìpi, con la vita, con la storia e con la cultura in senso ampio; e quello di caricarla di tutte le 'educazioni' relative a problemi e contenuti 'emergenti', che non possono occupare tutte le previste 33 ore all’anno. Queste 'educazioni' vanno affrontate responsabilmente e selettivamente nella vita della scuola dell’autonomia, sulla base di una visione che tenga presenti tutti i valori e le norme presenti nell’intera partitura del testo costituzionale e dei documenti internazionali relativi all’Educazione alla cittadinanza e alla Global Education, per evitare squilibri e visioni distorte. Hoc facere et aliud non omittere. Ma con judicio e con attenzione ai costi.
Luciano Corradini
Professore emerito di pedagogia generale nell’Università di Roma Tre
Avvenire, 27 aprile 2019