Accompagnato da un amico, andai al funerale di don Milani. Arrivammo quando tutto era finito. Michele Gesualdi stava difendendosi dall’assalto dei giornalisti (non molti): «Oggi non si saprebbe neppur che dire». Eravamo stati invece puntuali alla celebrazione romana del processo per l’obiezione di coscienza. Attivato da padre Balducci, avevo inviato un biglietto di sostegno al Priore e la presenza al Palazzaccio di Roma aveva lo stesso significato. In mezzo al pubblico c’era un piccolo gruppo di preti e religiosi: don Lorenzo – più a onore nostro che di se stesso – avrebbe un po’ gonfiato i numeri. Con la Lettera ai giudici, don Milani ci aveva offerto la penultima lezione di impegno civile; la Lettera a una professoressa realizzava il suo sogno di far esprimere ai suoi allievi – a nome di un vasto mondo contadino – le proprie ragioni in forma d’arte. Ma la pubblicazione delle Lettere (1970) aprì uno squarcio sulla vita interiore di don Lorenzo. All’ammirazione per il prete, il maestro, l’educatore si aggiunse la commozione per lo svelamento di una sorprendente umanità.
Conoscemmo gli appassionati sussulti degli ultimi due anni di Scuola Popolare a San Donato e l’affetto (ricambiato) dei primi allievi, vicini a don Lorenzo anche per tutto il tempo di Barbiana. E ancora: le gioie della paternità spirituale, l’amicizia con credenti e non credenti, il profondo equilibrio, le arrabbiature dolorose e le capacità di «rasserenarsi» in tempi brevi. Così, alcuni di quelli che avevano accolto l’invito a «fare scuola», cominciarono a ritrovarsi a Barbiana ogni 26 giugno, giorno della morte del Priore.
Nel 1971 c’erano i primi ragazzi del Doposcuola di Cassego e don Enrico Marini con quelli di Castiglion Fiorentino. Quasi tutti avevano appena sostenuto l’esame di licenza media e venivano a ringraziare don Lorenzo che aveva ispirato qualcuno ad occuparsi di loro. A capotavola, sotto il pergolato, c’era Eda Pelagatti, la donna che ha condiviso l’esistenza di don Milani a Barbiana e ha sofferto durante le incomprensioni di cui il Priore è stato oggetto. Quell’anno cominciava a rallegrarsi che molti potessero conoscere attraverso le Lettere il cuore del Priore ed elencava, con sorridente malizia, quelli che avevano cominciato - seppure in ritardo - a riconoscerne il valore umano e cristiano. A ogni 26 giugno si aggiungeva qualcuno che aveva frequentato Barbiana ai tempi del Priore. Lo si ascoltava con attenzione, senza indulgere al chiacchiericcio. Gino Carotti parlava di quanto don Lorenzo aveva fatto per l’istruzione dei suoi figli. Danilo, il tassista di Vicchio più volte beneficato da don Milani, non risparmiava le iperboli: «Quell’uomo era Dio o era lì vicino». Un giorno arrivò anche Benito Ferrini col ricordo di grandi mangiate: «A casa del Priore c’era zucchero, caffè, tutto». Benito era un «ultimo» a cui don Lorenzo aveva riservato un posto in prima fila, facendolo figurare autore dell’articolo «Ho aperto gli occhi», pubblicato da Adesso, il giornale fondato da don Mazzolari (1 ottobre 1958).
Celebrare la Messa, pregare sulla tomba del Priore, pranzare insieme in fraterna condivisione, questo è stato per trent’anni il nostro 26 giugno. Poi sono arrivati anche i vescovi e i cardinali, almeno per Messa e visita al cimitero. Ma a noi "partigiani milaniani" questo non bastava. Che bella cosa, pensammo nell’anno dedicato ai preti (2009), se ci fosse stato offerto come modello un parroco di montagna, profeta obbediente! Non fu così. Io, complice un amico, inventai una gherminella per far credere - almeno per un giorno - che così fosse. «Ci è stato additato ad esempio spiegai durante la Messa del 26 giugno - un prete che ha dato molta importanza al sacramento della Confessione, si è appassionato all’istruzione della gioventù, è stato allergico alle armi. Dunque: proprio don Lorenzo Milani». A quel punto una voce si levò dai banchi: «Guardi che, come modello per i preti, è stato proposto Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, morto nel 1859». «Ah!». Con una giravolta di finta sorpresa, mostrai che le analogie con don Lorenzo erano forti e che, in fondo, non è bello «copiare», qualcun altro. Oltretutto, conclusi, don Lorenzo non ha mai chiesto di essere «imitato». Una affermazione che scandalizzò alcune pie donne del Nord. Ora il Papa viene a Barbiana. Che vogliamo chiedere di più? Forse solo questo: che le Barbiane del mondo non siano mai più usate per esiliarvi le «voci scomode», ma che invece, tenute in onore dalla Chiesa, siano servite dai preti con un amore preferenziale ai poveri.
P.S. Per un buon articolo, don Milani voleva una «punzecchiatura» ogni quattro righe. Io non arrivo a tanto...
Sandro Lagomarsini
Avvenire, 17 giugno 2017