«I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli». È questo il principio stabilito nella Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) – principio che l’Unione Europea ha fatto proprio con la Risoluzione sulla libertà di insegnamento del 14 marzo 1984. Essa dichiara che «la libertà di insegnamento e di istruzione deve essere garantita» e precisa che «il diritto alla libertà di insegnamento implica l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie». Va da sé che, senza parità economica, la parità giuridica tra scuole statali e scuole non statali è solo un ulteriore inganno carico di nefaste conseguenze. Ma questa è, purtroppo, la situazione in cui versa il nostro sistema formativo. Difatti, a differenza degli altri Paesi europei, il principio-diritto della libertà di scelta della scuola è in Italia sistematicamente calpestato: la scuola libera è solo libera di morire, con grave danno della stessa scuola statale.
La scuola di Stato è un patrimonio grande e prezioso che va protetto, salvato; ma quanti difendono il monopolio statale non aiutano la scuola di Stato a sollevarsi dalle difficoltà in cui versa. La realtà è che il monopolio statale dell’istruzione è la vera malattia della scuola italiana; è negazione di libertà; è in contrasto con la giustizia sociale; non è di aiuto per un miglioramento organizzativo e didattico della stessa scuola. Scriveva Gaetano Salvemini: «Dalla concorrenza delle scuole private libere le scuole pubbliche hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere». E ciò per la ragione che la scuola privata «può essere un utile campo di esperimenti pedagogici, rappresentare sempre un pungiglione ai fianchi della scuola pubblica, e obbligarla a perfezionarsi, senza tregua, se non vuole essere vinta e sopraffatta», per cui «lo Stato ha il dovere di educare bene i miei figli, se io voglio servirmi delle sue scuole. Non ha il diritto di impormi le sue scuole, anche se in esse i miei figli saranno educati male».
D’accordo con Salvemini è Luigi Einaudi, allorché afferma che il danno recato dal monopolio statale dell’istruzione «non è dissimile dal danno recato da ogni altra specie di monopolio». E non è da oggi che contro le disastrose conseguenze del monopolio statale dell’istruzione si sono schierati, pur in contesti differenti, grandi intellettuali come Tocqueville, Rosmini e John Stuart Mill e, dopo di loro e tra altri ancora, Russell, Popper, Sturzo e Milani.
Ebbene – come più voci hanno insistito, e per anni, anche su questo giornale – tra le diverse proposte tese a sradicare in ambito formativo il diffuso, dannoso e liberticida pregiudizio stando al quale svolge una funzione pubblica solo ciò che è statale, va sicuramente presa in considerazione quella del “buonoscuola”. Con il “buono-scuola” i fondi statali sotto forma di “buoni” non negoziabili andrebbero non alla scuola ma ai genitori o agli studenti, i quali sarebbero liberi di scegliere la scuola presso cui spendere il loro “buono”. Una misura, questa, in grado di coniugare libertà di scelta, giustizia sociale e miglioramento dell’efficienza dell’intero sistema formativo. Una domanda ai politici di “sinistra”: quando si riuscirà a capire che il “buono-scuola” è una carta di liberazione per le famiglie meno abbienti? E una domanda ai politici “liberali” e a tutti gli altri sedicenti tali: uno Stato nel quale un cittadino deve pagare per conquistarsi un pezzo di libertà è ancora uno Stato di diritto? E, infine, ma prima di tutto: una volta messi al sicuro gli edifici scolastici, come pensano i nostri attuali governanti di risolvere il problema della parità scolastica? Più in particolare: sono sì o non d’accordo i ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio con la Risoluzione del Parlamento Europeo sulla libertà di insegnamento? Considerano il “buonoscuola” una urgente e necessaria terapia per i mali del nostro sistema formativo ovvero marciano anche loro a buon passo nella truppa dei pretoriani del monopolio statale dell’istruzione?
Dario Antiseri
Avvenire, 4 dicembre 2018