UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Lavoro, famiglia, autonomia: i giovani pronti, l’Italia no

Nel Rapporto del Toniolo le energie da liberare
26 Aprile 2017

Perché è importante occuparsi della condizione dei giovani? Varie sono le risposte che si possono dare a questa domanda. Quella più comune fa riferimento agli ostacoli che incontrano i giovani nel compiere con successo il percorso di transizione alla vita adulta, con rischio di impoverimento materiale, frustrazione psicologica, disagio sociale. Si tratta di una preoccupazione cresciuta nel tempo, accentuata da una crisi economica che ha colpito tutti, ma con effetti particolarmente negativi sui giovani italiani. Anche i dati più recenti mostrano come l’occupazione degli under 35 trovi maggior difficoltà a raggiungere i livelli precedenti alla recessione.

C’è però anche una seconda risposta, meno contingente, che punta l’attenzione non tanto sulla realtà che non va, ma su quello che i giovani possono essere e vogliono diventare. L’obiettivo è in questo caso quello di capire attraverso le nuove generazioni il mondo che cambia e come il nostro Paese vive e affronta le sfide che il cambiamento (pro)pone. Le nuove generazioni sono un osservatorio privilegiato del mutamento sociale, perché crescono con il mondo che cambia e ne sono quindi gli interpreti più autentici, ma anche perché ciò che muta va ad incidere soprattutto sul loro futuro.

Ma c’è di più: le nuove generazioni sono il nuovo che produce nuovo. Non vengono per essere uguali alle generazioni precedenti (dei genitori e dei nonni) e non nascono e crescono in un mondo uguale a quello delle generazioni precedenti. Sono quindi il modo attraverso cui una società costruisce il proprio futuro, che è sempre un luogo diverso dal presente. Quello che accade ai giovani, quello che desiderano, quello che progettano, contiene allora le informazioni più importanti per capire dove soffia il vento del cambiamento e come sono disposte le nostre vele rispetto a tale vento. Solo se le opportunità delle nuove generazioni aumentano rispetto a quelle precedenti possiamo dire che la direzione intrapresa è quella giusta.

Prima di preoccuparci per i giovani dovremmo, quindi, cercare di capire meglio le nuove generazioni e come il mondo cambia con esse. È la prospettiva di lettura e analisi proposta all’interno del 'Rapporto giovani' dell’Istituto Toniolo, in questi giorni in libreria con l’edizione 2017. La spinta giovanile verso l’innovazione, come ricerca di nuove soluzioni, è ancor più importante oggi di fronte alle grandi trasformazioni demografiche, alle sfide poste dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica, destinate a produrre un grande impatto sulle vite dei singoli, sull’organizzazione sociale, sulla crescita economica. Davanti a tali mutamenti è cruciale, anzi vitale, aiutare le nuove generazioni a produrre nuove mappe della realtà in trasformazione e individuare i percorsi più promettenti per raggiungere obiettivi condivisi. Il rischio è altrimenti quello per i giovani di perdersi e per la collettività di impoverirsi e veder aumentare diseguaglianze generazionali e sociali.

Più in particolare, una delle chiavi principali per rimettere in moto il Paese sta nel rapporto tra valorizzazione del capitale umano e competitività delle aziende. All’interno di queste ultime una crescente attenzione viene assegnata alle life skills, competenze traversali in grado non solo di aumentare l’occupabilità, ma soprattutto di trasformare il sapere teorico e tecnico in partecipazione di successo ai processi innovativi. I dati del 'Rapporto giovani 2017' mostrano come la consapevolezza di aver maturato tali competenze sia sensibilmente maggiore tra i laureati rispetto a chi si ha avuto percorsi di formazione più breve, indipendentemente dalla famiglia di origine. Un risultato incoraggiante in termini di spinta alla mobilità sociale. Forte risulta anche il legame tra titolo di studio e partecipazione ad attività di volontariato. La disponibilità all’impegno per migliorare la comunità in cui si vive è elevata e trasversale, ma chi poi la trasforma in esperienza concreta è soprattutto chi ha un titolo di studio medio-alto.

L’investimento personale nella formazione tende, in generale, a promuovere l’inserimento in un circolo virtuoso di reciproco sostegno e incentivo tra fare e imparare, andando ad arricchire un curriculum di esperienze positive che preparano alla vita oltre che al mondo del lavoro. La combinazione positiva tra imparare e fare ha ricadute sulle life skills (ovvero sulla visione positiva della vita, sulla progettualità, sull’apertura verso gli altri). Risulta inoltre protettiva, nel difficile contesto attuale, anche verso la perdita di fiducia verso il futuro e nei confronti delle istituzioni.

È interessante, infatti, osservare come il giudizio dato dai laureati verso le istituzioni risulti più elevato su quasi tutte le voci prese in considerazione anche se con intensità diversa. Anche rispetto alla Brexit e al voto nell’ipotetico caso di un referendum analogo in Italia, si riscontra un forte legame con il titolo di studio. Viceversa, la componente di giovani che presenta una più bassa fiducia verso l’esterno assieme a una più ridotta autostima, sono i Neet (quelli che non studiano e non lavorano). L’atteggiamento verso il lavoro non risulta, però, meno positivo rispetto agli altri. Questo suggerisce la possibilità di far uscire i Neet dalla propria condizione attraverso percorso che rimetta in relazione positiva fare e imparare attraverso esperienze di rafforzamento delle life skills. Ciò che caratterizza i Neet è l’ossessione del lavoro che manca, ma senza essere adeguatamente aiutati a metterlo in relazione positiva con un percorso di maggiore comprensione della realtà attraverso strumenti di informazione e cultura. Infine, la conferma del freno alla progettualità viene confermato anche dai dati sulle scelte di vita: i Neet, assieme a chi ha un lavoro instabile, non presentano livelli più bassi rispetto agli obiettivi di autonomia e formazione di una propria famiglia, ma riescono di meno a concretizzarli.

Nell’insieme, i dati contenuti nel 'Rapporto giovani' mostrano come una solida formazione possa fare la differenza consentendo di mettere in relazione positiva le proprie specificità e potenzialità con le nuove opportunità. Viceversa, chi non è stato aiutato a superare le proprie fragilità non solo fatica a cogliere le opportunità ma diventa più esposto ai nuovi rischi di un mondo sempre più complesso e in forte trasformazione. Detto in altre parole, dove vengono fatte incontrare potenzialità delle nuove generazioni e opportunità del mondo in trasformazione, i giovani diventano la parte più avanzata di un futuro migliore da costruire. Dove invece si scontrano le fragilità della nuove generazioni con i nuovi rischi delle società moderne, i giovani diventano il costo sociale più elevato di un presente senza prospettive.

Alessandro Rosina

Avvenire, 26 aprile 2017