L’anno scolastico sta volgendo al termine, e come Ulisse ci accorgiamo che ogni giro di boa è faticoso perché si è concentrati sul movimento e si perde di vista il mutamento profondo che il cambiamento comporta.
«Mi sono adoperata per offrire ai bimbi e alle loro famiglie un tempo in cui fosse ancora possibile sperimentare il desiderio e la serenità di stare insieme – confessa una maestra –. La gestione di microfono e videocamera non è immediata neppure per i nativi digitali perché tutti vorrebbero essere ascoltati e guardati, nello stesso momento! Ho puntando sugli obiettivi essenziali di ogni materia, per evitare che nessuno si sentisse abbandonato. Se un bambino rimaneva indietro, mi fermavo e lo aspettavo, e non è una perdita di tempo». Un’altra scrive: «Cos’é mancato? Uno sguardo dettagliato su ognuno di loro. Per quanto si possa cercare di coinvolgere tutti quei 25 rettangolini, è stato difficile coglierne le sfumature, le difficoltà e le distrazioni come in presenza. Ho detto “Non c’è più l’insegnante che ti controlla. Tutto dipende da te: con un clic puoi spegnere la telecamera e fare tutto male, oppure puoi continuare a vivere con stupore tutto quello che stiamo scoprendo”. Le cose funzionano e si può miracolosamente continuare a imparare anche così, perché c’è una connessione nata prima della pandemia. Se i bambini sono connessi con l’insegnante, continuano ad esserlo anche in Dad».
Un’insegnante di sostegno scrive: «Ho sempre visto e vissuto la bellezza del mio lavoro come un intreccio di relazioni e di vite che contribuiscono alla crescita reciproca e a un rinnovamento continuo. Ecco allora che in queste ore di didattica a distanza, mi sono affacciata alla camera del mio alunno, scoprendo in lui il piacere di farmi entrare in casa, di farmi conoscere il suo gattino, confrontarmi con i genitori, condividere la loro sofferenza e aprire il cuore alla speranza. Ho capito che si può dare tanto anche così e che il mio lavoro si conferma tra i più belli del mondo».
La relazione, se c’è, non può essere annientata dalla lontananza, perché ha radici nel cuore, determina legami invisibili che non si indeboliscono, anzi si rinsaldano a distanza. Ed è questo il premio più bello per la dolce fatica dell’insegnare. La relazione didattica è scambio “olistico” ed osmotico, la mutazione riguarda tutte le parti in causa. La comunicazione è cambiamento interiore, riorientamento verso nuovi orizzonti comunitari. La muraglia del nichilismo e dell’indifferenza può concretizzarsi nella sua completezza solo in uno spazio privato. La scuola come contenitore pubblico è lo spazio adatto che dispone alla finalità comunicativa, la quale limita le derive narcisistiche e privatistiche inoculate negli ultimi decenni.
Sta a noi scegliere se la barbarie della scolarizzazione nichilistica ed individualistica debba trasformarsi nel tragico futuro prossimo di una civiltà. L’educazione ci pone sempre dinanzi ad un’alternativa binaria se scegliere di trascendersi e realizzare la propria natura comunitaria o restare nella prigione di un «io delirante e solo».
«Ci troviamo nella carestia della speranza e abbiamo bisogno di apprezzare il dono della vita, il dono che ciascuno di noi è. Perciò abbiamo bisogno dello Spirito Santo, dono di Dio che ci guarisce dal narcisismo, dal vittimismo e dal pessimismo. Ci guarisce dallo specchio, dalle lamentele e dal buio», afferma papa Francesco. Anche noi possiamo fare la nostra parte. La paideutica (termine che nell’antica Grecia denotava il modello pedagogico riferito non solo all’istruzione scolastica dei ragazzi, ma anche al loro sviluppo etico e spirituale al fine di renderli cittadini perfetti e completi) e il loro inserimento armonico nella società anticomunitaria non è incisa nel solco della storia, ma è un sentiero ipotizzabile per cui la collettività può, se vuole, deviare il cammino con il pensiero condiviso.
Alla fine dei mesi d’estate si rientrerà in classe con i suoni e i silenzi dell’emozione che s’incontreranno al centro del cuore. Sarà un autunno nuovo che darà un senso e un valore al balletto delle memorie di quello che è stato e di quello che ancora sarà. È l’augurio dell’Agesc: colmare questa distanza con i nostri passi migliori e dare ai giorni che ci si fanno davanti lo svolgimento più bello che riusciremo ad immaginare. Un bene può far male un male può far bene se riusciremo a correre la stessa strada, e a volare sulle stelle dell’immaginazione, se guariremo da questo male che si è incarnato negli angoli più bui della nostra mente. Il prezzo del futuro è il vivere: sognare i giorni di domani e chiedere al Cielo di ridare a questi ragazzi gli anni più belli.
Avvenire, 4 giugno 2021