Sono 600 gli studenti detenuti iscritti ai Poli Universitari penitenziari presenti in 57 carceri della penisola e a cui collaborano 28 atenei. Il primo ad essere stato istituito nel 1998 fu quello dell’Università di Torino: 130 sono gli studenti iscritti, la metà di essi si è laureata. Il caso di Torino ha fatto da apripista in Italia e in Europa e ieri ha celebrato il ventennale nell’aula magna del carcere subalpino, alla presenza di studenti, autorità carcerarie e docenti.
«Grazie perché in questi vent’anni avete creduto fermamente che possiamo essere qualcosa di più dei nostri errori», ha detto emozionato Andrea P., rappresentante dei 40 studenti detenuti iscritti al Polo accademico del penitenziario torinese 'Lorusso e Cutugno', tra cui 5 stranieri (romeni, albanesi e nigeriani), 30 reclusi, 8 in messa alla prova e due in libertà dopo aver scontato la pena. Gli altri compagni di studi di Andrea, tra cui alcuni già in possesso di una laurea come ha illustrato Franco Prina, delegato del Rettore per il Polo torinese e presidente del Cnupp (Conferenza nazionale dei delegati per i Poli universitari penitenziari), sono iscritti al Polo con piani di studio articolati su più corsi di laurea (triennale e magistrale dei Dipartimenti di Culture, Politica e Società, Giurisprudenza, Matematica e Beni Culturali). Sei le nuove matricole, mentre al momento non si registrano detenute iscritte perché le donne sono poche, non in possesso di diploma o con pene troppo brevi rispetto alla durata del corso di studi.
«I detenuti universitari sono l’1% della popolazione carceraria – ha rilevato Prina – ed è dovere dell’Università contribuire a fare in modo che il diritto allo studio sia garantito a tutti: per questo è importante parlarne, diffondere buone prassi». Ne è convinto il rettore dell’Ateneo subalpino, Gianmaria Ajani, che ha chiesto che l’intervento di Andrea, il più applaudito della mattinata, venga pubblicato sul sito dell’Università «per far conoscere a tutti gli studenti e all’opinione pubblica una realtà che funziona e per dire a quei politici che ritengono che l’università non serva a nulla, che invece ha una funzione anche sociale». «Vorremmo richiamare la vostra attenzione – ha proseguito Andrea – sullo studio, uno dei migliori rimedi per abbattere gran parte dei problemi inerenti al carcere: anche le statistiche lo testimoniano, bassissima è la recidiva di chi si laurea in cella».
Il ventennale del Polo universitario torinese è stata l’occasione per inaugurare il nuovo anno accademico e per firmare la nuova convenzione tra l’Università, la Casa circondariale 'Lorusso e Cutugno' e l’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna che si occupa dell’inserimento dei detenuti dopo lo sconto della pena. A ripercorrere le tappe salienti erano presenti, tra gli altri Domenico Minervini, direttore del carcere, Maria Teresa Pichetto già delegata del Rettore per il Polo (e autrice del volume che ne ricostruisce la storia 'Se la cultura entra in carcere' Effatà editrice), Anna Maria Poggi della compagnia di San Paolo che sostiene finanziariamente il progetto contribuendo al pagamento della prima rata delle tasse (la seconda è sostenuta dall’Ateneo). «Solo tu puoi farcela, ma non da solo » è la frase dipinta a caratteri cubitali all’ingresso della sezione del Polo Universitario del carcere torinese dove gli studenti ristretti provano a mettersi alla prova sui libri. «Non capita spesso nella vita di avere una seconda possibilità» ha concluso Andrea «e per noi lo studio è l’equivalente di una seconda possibilità».
Marina Lomunno
Avvenire, 29 novembre 2018