UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L’Agesc: quale scuola nell’era Covid

A pochi giorni dalla ripresa, resta irrisolta la grande questione dell’innovazione della didattica e di una nuova alleanza con le famiglie
4 Settembre 2020

Da sempre esiste un periodo preciso che segue i momenti più gravi di una crisi. È il momento in cui non tutti i problemi sono risolti, ma essendo il peggio alle spalle sono in atto quelle iniziative che sono il germe della ripresa. Questo è il momento di attuare le decisioni prese quando le attività erano concentrate al superamento della crisi. Quel momento per la crisi da Covid-19 in Italia è adesso. Quello per la scuola italiana è oggi. In alcuni casi si tratta di rimettere le cose a posto come erano prima della crisi. In altri casi invece non solo non sarebbe giusto rimettere al loro posto le cose prima, ma sarebbe anzi un grave errore le cui conseguenze sarebbero pagate dalle generazioni future. Il mondo della scuola appartiene a questo secondo caso e ne è forse l’espressione più evidente. Come Agesc affermiamo che non è più tempo di riportare la scuola al ruolo della “Cenerentola” della politica italiana soffocata in uno statalismo di stampo ideologico tipico delle contrapposizioni del secolo scorso. Ma nemmeno tornare ad essere il luogo dove privilegiare le questioni occupazionali come merce di scambio elettorale, quantunque in regime post-ideologico.

Correva l’anno scolastico 2017/2018 quando l’allora ministro della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli, lanciava la sperimentazione del percorso di scuola secondaria di secondo grado su 4 anni anziché di 5. L’obiettivo era quello di equiparare il percorso formativo dei nostri studenti su 12 anni di scuola anziché 13, così da renderlo uniforme a quanto avviene in molti Paesi europei e anche negli Stati Uniti. Cosa ne è stato di questo importante progetto di sperimentazione di cui non si sente più parlare? Stiamo parlando dell’anno scolastico 2017/18 quindi di un periodo ancora molto vicino a noi. Ma anche molto lontano purtroppo visto che nel breve periodo di 3 anni scolastici si sono avvicendati ben 4 ministri della Pubblica Istruzione (Valeria Fedeli, Marco Bussetti, Lorenzo Fioramonti ed ora Lucia Azzolina).

È più che evidente che con un turnover di questo tipo, per cui ogni ministro resta in carica una media di 10 mesi, è impossibile ipotizzare o programmare qualunque progetto innovativo. Anzi crediamo che sia fin troppo difficile fare fronte anche agli impegni correnti della ordinaria amministrazione.

Oggi si sente solo parlare di banchi nuovi sempre più piccoli con o senza rotelle. Piccoli banchi dove uno studente ha spazio solo per mettere un foglio di carta e una matita. Nessuno parla per esempio di flipped classroom (insegnamento capovolto) solo per fare un esempio di carattere innovativo di cui crediamo ci sia urgente bisogno.

Tutto è stato relegato ad una questione di distanza tra una bocca e l’altra. Il sistema scuola in Italia fatto di scuola statale e di scuola paritaria è quindi carente nella sua componente fondamentale quella di gran lunga maggioritaria, di un respiro adeguato ai bisogni che un paese come il nostro sarà chiamato ad affrontare da qui al 2050. Globalizzazione dei mercati, digitalizzazione, economia circolare e cambiamenti climatici, solo per citare quelli più urgenti.

Come Agesc crediamo che assolutizzare la vita della scuola ad una questione di arredi e di norme sanitarie quantunque importanti sia un approccio non propriamente adeguato. Si possono pensare e attuare molteplici scelte in contemporanea. Soprattutto non deve essere mortificata la relazione scuola-famiglia che in questi mesi di pandemia ha sofferto di una subalternità rispetto ad altre pur importanti questioni.

Occorre davvero intraprendere una strada che tutti vorrebbero meno ripida e meno rischiosa. Su quale rischio siamo disposti a puntare? Aspettare che la pandemia si sia completamente risolta prima di ripartire con la scuola del futuro è fin troppo rischioso, per le più che evidenti conseguenze. Questo è un rischio che non ci possiamo permettere né oggi né mai in futuro al di là di un’altra eventuale crisi che ci potrebbe colpire, sia essa sanitaria sia essa di altro tipo.

Avvenire, 4 settembre 2020