UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La vergogna dell’impunità rivivendo il delitto del Circeo

Fa discutere “La scuola cattolica” di Stefano Mordini, tratto dal libro omonimo di Albinati
9 Settembre 2021

«Volevamo raccontare come l’uomo si permette di esercitare una violenza gratuita per scopi gratuiti sul femminile. Non c’è necessariamente un conflitto politico, c’è senz’altro un conflitto tra uomo e donna. Non c’è necessariamente un conflitto di classe: l’impunità c’è nelle borgate come nella borghesia».

Il regista Stefano Mordini spiega così la scelta di non rendere particolarmente esplicito il contesto politico di estrema destra in cui si muovevano nella Roma del 1975 gli aguzzini del delitto del Circeo, che racconta nel film La scuola cattolica, tratto dal romanzo omonimo di Edoardo Albinati, Premio Strega nel 2016, e presentato ieri fuori concorso al Lido (in sala dal 7 ottobre con Warner). Il film torna sull’efferato delitto del Circeo, allorché nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975 due ragazze “del popolo”, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, vennero massacrate – la prima scampò – dagli “altoborghesi” criminali Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido in una villa al Circeo. Un caso che scosse l’Italia e fu il primo passo per trasformare la violenza sessuale da reato contro la morale a reato contro la persona, risultato raggiunto solo nel 1996.

Quindi ben venga un film di denuncia contro quelle violenze di gruppo e non. Albinati conosceva i tre assassini del Circeo perché come lui erano ex alunni del liceo San Leone Magno del ricco quartiere Trieste-Salario e ha avuto il merito di denunciare una situazione distorta. Il regista dipinge un contesto chiuso, maschile e maschilista, formato da figli di papà annoiati che per la maggior parte ignorano qualsiasi valore che i professori e i sacerdoti cercano di trasmettere. Intorno un’alta borghesia di padri assenti o rigidi, madri come minimo confuse (nel cast, Jasmine Trinca, Valentina Cervi e Valeria Golino), mentre gli insegnanti del liceo sono dipinti come persone mediocri. Purtroppo il film non riesce ad approfondire e a indagare le radici del male come farebbe credere e induce, ugualmente al romanzo, a un equivoco di fondo sulla realtà della cosiddetta “scuola cattolica”. Il limite dunque sta il rischio di generalizzare banalmente e trascurare, con una lettura superficiale, l’ispirazione etica degli istituti cattolici, che hanno quale obiettivo tanto dare formazione quanto trasmettere principi e valori in tutti gli ordini di istruzione. Il film di Stefano Mordini «fa un torto allo spettatore, come il libro lo fa al lettore.

Lo tradisce, raccontando senza contezza, una scuola dedicata alle élite e ai privilegiati. In una interpretazione inverosimile, un déjà vu radical chic che viene da quel mondo e lo vuole lasciare così. Perché emancipare il povero è pericoloso», commenta suor Anna Monia Alfieri, dal 2016 membro della Consulta di Pastorale scolastica e del Consiglio Nazionale Scuola della Cei. «Nelle sue ragioni storiche la scuola paritaria è “per e dei poveri”», prosegue la religiosa, indicando, tra le altre, l’esperienza di don Bosco e delle Figlie della carità. «Queste scuole, per le quali mi batto da anni, sono luoghi di frontiera che hanno strappato i ragazzi alla criminalità organizzata, ma che per una stortura culturale e una cattiva burocrazia abbiamo stroncato, privilegiando letture ideologiche».

Angela Calvini

Avvenire, 7 settembre 2021