UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La speranza nelle parole di Agostino

Dalle “Confessioni” ai “Discorsi”, la visione del padre della Chiesa figura di riferimento per Papa Leone XIV
19 Maggio 2025

Nello scenario della storia recente percorsa da inquietudini profonde – instabilità globale, fratture sociali, un senso diffuso di impotenza – la voce di Agostino di Ippona, padre della Chiesa, pensatore inquieto, pastore appassionato, risuona con una forza sorprendentemente attuale che ci sprona a riprendere «il cammino, animati dalla stessa speranza che viene dalla fede» come ci invita a fare papa Leone. La speranza, per Agostino, nasce da una visione profonda dell’uomo: creatura in cammino, radicalmente inquieta, incapace di accontentarsi del presente. È il cuore stesso dell’antropologia agostiniana: «Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te». (Confessioni I, 1.1) La speranza è così espressione della tensione verso il bene assoluto, verso una felicità piena. La sua è una speranza esigente, radicata nella realtà e protesa verso ciò che non si vede; è un orientamento stabile, come fiducia che il senso esiste anche se non lo vediamo ancora È una bussola dell’anima nei giorni oscuri, un cammino condiviso dentro la storia.

Una speranza, dunque, che non consola soltanto, ma che trasforma. Agostino afferma con chiarezza disarmante: «Anche la nostra speranza non durerà per l’eternità» (Discorso 313F, 1), perché sperare è proprio dell’attesa. Quando giungeremo a ciò che oggi è solo promesso, la speranza non avrà più senso: sarà stata pienamente realizzata. In questo, il messaggio agostiniano è già profondamente giubilare: la speranza non è un’illusione, ma una certezza ancora in cammino, destinata a essere colmata. Ecco allora che il Giubileo della Speranza non è evasione dal presente, ma una chiamata a vivere il tempo con profondità. Siamo, come dice Agostino, pellegrini verso l’eterno: la speranza è compagna del viaggio, forza che non si spegne. L’Ipponate descrive con precisione le speranze quotidiane degli uomini: crescere, sposarsi, avere figli, prosperare. Ma ogni traguardo ne apre subito un altro. Anche quando si realizza, la speranza terrena non sazia. È una speranza inquieta, che si rinnova continuamente e che rivela il carattere dinamico dell’esistenza umana. Agostino mostra che l’uomo è strutturalmente orientato verso il bene, anche quando lo cerca in modo sbagliato: ogni desiderio, ogni attesa, ogni progetto non è altro che una forma, spesso confusa, di questa tensione fondamentale. È una constatazione che oggi ci tocca da vicino, in una società che moltiplica desideri, ma non soddisfazioni.

Agostino ci invita allora a cercare una speranza diversa: non fondata sull’effimero, ma su Dio: «La speranza grida sempre a Dio» (Discorso 3131F, 1). «Egli è ora la tua speranza, sarà poi il tuo bene» (3). La speranza, allora, è attesa certa di un destino buono. È una speranza che non si logora col tempo, perché guarda oltre il tempo. Il pensiero di Agostino non isola mai la speranza dalle altre virtù teologali: fede, speranza e carità formano un’unità vitale: la fede illumina, la speranza orienta, l’amore sostiene. In questo legame profondo, la speranza appare come la virtù del cammino, del pellegrinaggio: lo sguardo della fede proiettato in avanti, reso vivo e operoso dalla carità. E la storia, per lui, non è mai chiusa: è aperta all’azione di Dio e alla libertà dell’uomo. In un mondo che ha smarrito la fiducia nel futuro, questo sguardo è più che mai necessario. Le immagini agostiniane sono potenti. La speranza è una lucerna che arde nella notte, nutrita dalla Parola di Dio (Discorso 37, 11). È «quasi un’àncora per non naufragare turbati in questo mare» (Esposizione Salmo 64, 3) gettata nel porto sicuro della patria celeste, che «fa in modo che noi non ci infrangiamo contro gli scogli». È una speranza viva, resistente, concreta. In un’epoca dominata dall’incertezza, Agostino ci chiede di non spegnere la fiamma, di non lasciare la barca alla deriva.

L’ Ipponate paragona la speranza anche a un uovo: «La speranza, infatti, non è ancora giunta alla realtà, come anche l'uovo è qualcosa ma non è ancora il pulcino» (Discorso 105, 5.7). Come l’uovo contiene il pulcino in potenza, ma non ancora in atto, così la speranza custodisce il compimento, senza anticiparlo. È un’immagine che invita alla pazienza, alla cura, all’attesa fiduciosa. L’uovo è fragile e chiuso in un guscio: va protetto, scaldato, maturato. Così la speranza, perché viva, ha bisogno di tempo, silenzio, perseveranza. Non si può rompere per accelerare la nascita del pulcino, come non si può forzare il tempo del compimento spirituale.

La speranza, in questo senso, è già un modo di abitare il tempo: non nell’ansia del risultato immediato, ma nella fiducia che ciò che oggi è nascosto verrà alla luce. E tuttavia, Agostino non si ferma alla poesia dell’immagine. La metafora dell’uovo è anche un monito: «Temi lo scorpione per il tuo uovo». Il mondo è pieno di “scorpioni”, che feriscono da dietro – simbolo dei pensieri che ci spingono a guardare indietro, a rimpiangere il passato. È il veleno dell’abitudine, del cinismo, della falsa sicurezza. In un mondo che premia l’immediatezza e ridicolizza l’attesa, la metafora agostiniana dell’uovo suona come un invito controcorrente: saper attendere ciò che conta, proteggere ciò che cresce nel silenzio, protendersi con fiducia verso ciò che non si vede, ma che è promesso: «Slanciati verso ciò che ti sta davanti, dimentica il passato» (Discorso 105, 5.7). In fondo, la speranza – come l’uovo – è un gesto di fiducia nel futuro e nella fedeltà di chi lo ha promesso. Proteggere la speranza significa allora anche purificare il cuore: non si dà vera attesa senza silenzio, senza combattimento interiore. Agostino insiste sulla necessità di dilatare l’anima, di riconoscere che la speranza stessa è dono, non conquista. Non la si costruisce a tavolino, ma la si riceve nella disponibilità e nella fede.

Nel Giubileo della Speranza, queste immagini si caricano di una nuova urgenza: non si tratta di attendere passivamente, ma di camminare con tenacia, «lieti nella speranza, pazienti nella tribolazione» (Rm 12, 12), secondo l’esortazione paolina. La speranza non ci sottrae al dolore, ma ci dà la forza di attraversarlo. Per Agostino, la speranza ha un nome e un volto: Cristo. È lui la via, la garanzia, il compimento. Nella sua passione vediamo la pazienza necessaria a vivere l’attesa; nella sua resurrezione, la certezza che ciò che oggi è sperato sarà domani posseduto. «Noi vediamo, in Colui che è nostro capo, ciò che speriamo» (Discorso 157, 3) scrive il vescovo d’Ippona. Il cristiano non spera al buio: la luce si è già manifestata nel Risorto e il Giubileo ne è l’annuncio. E se anche il cammino è faticoso, Agostino ci ricorda che la gioia non è assente, la nostra vita è già piena di un’attesa feconda: «Abbiamo già ricevuto l’alleluia della speranza, e quando sarà il tempo, canteremo l’alleluia della realtà» (Discorso 255, 5, 5). Anche ora, nella fatica, si può cantare.

In questo senso, la speranza non è solo forza individuale, ma anche principio di comunione. Dove c’è speranza, c’è apertura all’altro, c’è riconoscimento del comune destino e fiducia che l’umanità, pur ferita, non è condannata alla dispersione. Come ricorda Agostino nella Città di Dio, le due città, costruite una sull’amore di sé e l’altra sull’amore di Dio, si intrecciano nella storia: ma l’amore di Dio apre sempre spazi di ricostruzione. Occorre abbandonare «le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi», sollecita papa Leone. La speranza, per Agostino, non si può confinare: attraversa le frontiere, unisce i popoli, genera alleanze. È forza dello Spirito che può fare dell’umanità una comunità. Come ha ricordato papa Leone «l’aspirazione della Chiesa – e mia personale – [è] di raggiungere e abbracciare ogni popolo e ogni singola persona di questa terra». Nell’anno del Giubileo, in un mondo lacerato da guerre e disuguaglianze, questo messaggio è quanto mai urgente: una storia diversa è possibile, anche oggi, anche qui. Il Giubileo della Speranza non arriva per illudere, ma per chiamare. Chiama a una speranza forte, adulta, agostiniana: quella che non si spegne quando le cose vanno male, che non si sottomette all’oggi, che non si piega al disincanto. È la speranza che ha già un’àncora nel porto, mentre navighiamo ancora nel tempo.

Agostino ci lascia un’eredità preziosa: sperare non è illudersi, ma rispondere a una vocazione profonda; non è fuga, ma adesione al bene promesso. È sapere che la luce verso cui tendiamo ci precede e ci accompagna. Per questo, il Giubileo della Speranza non è un tema tra gli altri, ma un appello alla verità dell’umano. Aprirsi alla speranza significa riconoscere la propria fragilità, lasciarsi sostenere dalla fedeltà di Dio, e camminare – insieme – verso una gioia che non delude.

Paola Muller, Docente di Storia della Filosofia Medievale Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Avvenire, 18 maggio 2025