Le benedizioni a scuola, al di fuori dell’orario di lezione e con facoltà di partecipazione, sono legittime. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, ribaltando un precedente pronunciamento del Tar dell’Emilia Romagna, che aveva annullato un provvedimento del Consiglio dell’Istituto 20 di Bologna. A grande maggioranza (13 favorevoli, due contrari e un astenuto), l’organismo di gestione dell’Istituto comprensivo, aveva deliberato di concedere l’uso dei locali della scuola per le benedizioni in occasione della Pasqua del 2015. Contro questa decisione, un piccolo (ma rumoroso) gruppo di insegnanti e genitori, appoggiato dal comitato “Scuola e Costituzione”, aveva presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale, la cui sentenza era però giunta dopo che la benedizione era già stata effettuata. Così, forse per evitare ulteriori polemiche (il caso era finito sulle pagine del New York Times), l’anno successivo il Consiglio d’istituto ha deciso di non concedere i locali per la benedizione. Una “precauzione” che ora non ha più ragion d’essere, visto che, come scrivono i giudici del Consiglio di Stato, la benedizione è un rito che «ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall’orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all’evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso».
Inoltre, il Consiglio di Stato, ricordando il dettato dell’articolo 20 della Costituzione, sottolinea il carattere «discriminatorio» di un eventuale divieto alle benedizioni a scuola. «C’è da chiedersi – si legge nella sentenza – come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie attività scolastiche, sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti ad attività “parascolastiche” diverse da quella di cui trattasi, ad esempio di natura culturale o sportiva, o anche semplicemente ricreativa, mentre si trasformi, invece, in un non consentito dispendio di tempo se relativo ad un evento di natura religiosa, oltretutto rigorosamente al di fuori dell’orario scolastico. Va aggiunto – proseguono i giudici – che, per un elementare principio di non discriminazione, non può attribuirsi alla natura religiosa di un’attività, una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima».
Concetto ribadito dal costituzionalista dell’Università Europea di Roma, Filippo Vari, che sottolinea anche una seconda valenza della sentenza del Consiglio di Stato: «Riconosce che la religione ha una rilevanza pubblica, cosa che non piace a un certo laicismo aggressivo, che, invece, vorrebbe ridurla a un fatto meramente intimistico e privato». «È singolare che contro questa decisione si schierino alcuni che, sempre nelle scuole, vorrebbero introdurre l’indottrinamento dei bambini secondo l’ideologia gender», aggiunge il giurista, che si sofferma anche sull’annunciato ricorso degli sconfitti alla Corte di Giustizia europea. «Nel recente passato – ricorda Vari – la Grande Chambre ha già stabilito che non esiste corrispondenza diretta tra l’esposizione del Crocifisso nelle aule e le attività scolastiche e che la presenza di questo simbolo non influisce sul regolare svolgimento delle lezioni. La sentenza del Consiglio di Stato rispetta proprio i criteri di questa decisione della Corte Europea».
Di decisione «saggia, equilibrata e rispettosa della vera laicità della scuola, che non può mai essere contro qualcuno», parla Adriano Guarnieri, portavoce della diocesi di Bologna, guidata dall’arcivescovo Matteo Zuppi. «La diocesi – si legge in una nota – riconferma il pieno rispetto delle decisioni degli organi competenti». Anche secondo il vescovo di Latina, Mariano Crociata, presidente della Commissione episcopale per la scuola della Cei, questa sentenza è «ragionevole, equilibrata e di buonsenso». Per il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, «ribadire le nostre profonde radici cristiane non deve essere un problema per nessuno», mentre la senatrice di Forza Italia, Anna Maria Bernini chiede «un intervento legislativo, serio e compiuto, che salvaguardi le tradizioni culturali cristiane nel nostro Paese, evitando in futuro ricorsi di questo tipo, che altro non fanno che alimentare conflitti in modo strumentale».
Nel mirino sono finiti anche crocifisso e presepe
Le benedizioni pasquali non sono le uniche manifestazioni religiose finite nel mirino dell’offensiva laicista. A cadenza annuale, riesplodono le polemiche legate all’esposizione dei presepi nelle scuole, oppure si levano voci per la rimozione dei crocifissi negli uffici pubblici, come scuole, ospedali e tribunali. Proprio sulla preparazione dei presepi scolastici, dalla laica Francia arriva una vera e propria lezione alle nostre istituzioni. Lo scorso ottobre, il Consiglio di Stato di Parigi ha sopito polemiche e strumentalizzazioni politiche, stabilendo che «il presepio nei luoghi pubblici non viola il principio di laicità» dello Stato. Tre le condizioni essenziali: la temporaneità dell’allestimento, l’assenza di finalità di proselitismo e la cornice culturale o di festa dentro cui collocare la manifestazione.
Paolo Ferrario
Avvenire, 28 marzo 2017