Persona, comunità, responsabilità. Per consentire alla scuola di essere davvero «comunità educante» ai valori della convivenza civile, perciò, ognuno deve fare un passo verso l’altro, in alleanza. Quel che manca nel quotidiano, infatti, non è tanto l’educazione, quanto più l’amore per la vita. Parte da qui la riflessione – avendo come sfondo la Costituzione – della seconda giornata del XXV Congresso Unione cattolica italiana insegnanti, dirigenti, educatori e formatori (Uciim) in corso a Roma fino a domenica, che si concluderà con l’Angelus del Papa. «La società manca di principi di riferimento», premette la presidente Uciim Rosalba Candela, citando la Carta e i valori fondamentali per i cattolici. L’idea di fondo «è arrivare ad una sorta di vademecum per i politici per porvi rimedio», a partire dalla scuola. È vero che «la scuola educa alla convivenza civile innanzitutto essendo se stessa fino in fondo, cioè educando le persone». A ricordarlo Ernesto Diaco, direttore Ufficio nazionale educazione scuola università della Cei, che davanti alla rottura del patto educativo tra scuola, famiglia e società propone «la costruzione di un’alleanza educativa». E l’Uciim, aggiunge, «è chiamato a costruire un ponte tra la comunità cristiana e la scuola, ma anche un ponte fra la scuola e la Chiesa».
Quello che occorre costruire «è una civiltà dell’Amore» – secondo il presidente del Forum delle Associazioni familiari, Gianluigi De Palo – attraverso «il dialogo e il lavoro gomito a gomito». Da dove partire? Dalla Dottrina sociale della Chiesa, ricorda, e dai suoi cinque pilastri. «La dignità della persona, che è intrinseca nella sua natura. Il bene comune che va oltre la somma degli interessi particolari». E ancora: «La solidarietà, con il dialogo intergenerazionale da riscoprire, e la sussidiarietà». Infine, «la partecipazione, il modo migliore con il quale ciascuno può offrire il proprio contenuto».
Un modello che si perfeziona a scuola, che deve diventare «modello di giustizia, accoglienza, dei buoni rapporti», comunità consapevole della «grande responsabilità che ha nei confronti dei ragazzi e della comunità in cui è inserita». Andrea Codispoti, dirigente scolastico, presidente Uciim Calabria, così ipotizza anche un nuovo format d’insegnamento che «superi la lezione frontale». Nuovi metodi che aiutino pure ad affrontare temi caldi come l’immigrazione. «La scuola – la conclusione – deve diventare modello di accoglienza, aiutando a trovare il punto di contatto fra sé e l’altro».
Accoglienza e giustizia sono i valori fondanti della convivenza civile. Anche se molto spesso, fa notare Adelaide Iacobelli, vicesegretaria nazionale del Movimento studenti di Azione cattolica (Msac), i giovani «non considerano la convivenza civile come utile, necessaria alla vita, non ritengono importante entrare in relazione con chi li circonda ». Perciò quello che un tempo era un valore da ricercare, viene sostituito da aspetti più banali «che diventano la base delle relazioni». Ecco perché, ricorda Iacobelli, la scuola «ha la grande responsabilità di essere vero strumento di maturazione». Senza dimenticarsi mai, le fa eco Daniela Figini, presidente Uciim Lombardia, che «è un’istituzione per i ragazzi, non degli insegnanti», ai quali propone di indirizzare «una sorta di codice deontologico del buon docente ». Tutti infatti «siamo costruttori di convivenza civile». Ne è convinta Rosaria Picozzi, presidente Uciim Campania, per cui i valori della Costituzione «da formali devono essere interiorizzati », a partire dalla scuola.
Alessia Guerrieri
Avvenire, 21 gennaio 2017