Di loro si parla pochissimo, anche perché non si sa bene come definirli. «È che non si può dire. Non si capisce: da fuori non si capisce. Neanche io l’ho capito, per tanto tempo», ammette Marisa, una delle studentesse che la professoressa Michela Fregona ha portato con sé nella gita a Napoli, sfidando contrattempi e pregiudizi.
La loro scuola, infatti, è diversa da come siamo abituati a immaginarla. La loro è una classe, sì, ma è 'La classe degli altri', come recita il titolo del romanzo (edito da Apogeo nel 2019) con il quale la stessa Fregona ha dato voce alla sua esperienza di insegnamento nei percorsi di educazione per gli adulti a Belluno, prima presso il Centro territoriale permanente e ora presso la sezione serale di un istituto superiore professionale. Per rendersi conto dell’importanza di questi luoghi, oggi più che mai cruciali nei percorsi di integrazione e riscatto sociale, basta leggere 'Riscossa', il pamphlet nel quale Michela Fregona torna a rivendicare la necessità e la bellezza di un impegno che l’emergenza coronavirus ha reso ancora più complesso e ancora più necessario.
Pubblicato da Anima Mundi come quaderno inaugurale della collana 'Vocabolario dell’arca' curata da Carlo Ridolfi per la Rete di cooperazione educativa, 'Riscossa' è una testimonianza condivisa attraverso lo strumento del racconto. Protagonista assoluta è appunto quella classe così inconsueta, nella quale si ritrovano persone di età differenti e provenienze disparate. Adulti e spesso stranieri, dunque, non il solito gruppo di ragazzini. Durante la famosa trasferta napoletana il custode della Cappella Sansevero si insospettisce per l’anomalia: «Studenti… – replica senza troppe cerimonie –. Ma vi siete visti?». Marisa, come sappiamo, un po’ di ragione è disposta a dargliela. «Sa quante volte mi sono chiesta se ne valesse la pena? – confessa alla sua insegnante –. Stare con i miei figli, avere del tempo, andare a camminare […]. E dopo succede: viene un momento che ti guardi indietro e ti rendi conto che quella dell’inizio non sei più tu».
In questo senso davvero «la scuola è il più potente agente di cambiamento della società », come annota l’autrice. Anche e specialmente in tempi di didattica a distanza, e di didattica a distanza con gli adulti, quando per commentare l’Infinito di Leopardi si è costretti a scambiarsi messaggi in chat, interrogandosi sul significato di quella siepe che limita e nello stesso tempo rende più acuto lo sguardo. «La società ci dà dei limiti – commenta un’altra studentessa, Monika –, siamo noi che dobbiamo andare oltre per poter arrivare alla felicità». Dell’educazione degli adulti si parla pochissimo, ripetiamo, e la sensazione che durante la pandemia se ne parli ancora meno. In questi mesi, e in queste stesse settimane, la priorità giustamente assegnata al funzionamento della scuola (alla sua manutenzione, verrebbe da dire) rischia di far dimenticare ogni altra istanza, penalizzando i percorsi meno in vista e, proprio per questo, più carichi di implicazioni sul piano umano e sociale. «Nella crisi più profonda, la parola è stata vita – spiega Fregona nella lezione su Leopardi –. Da qui potrebbe (dovrebbe) diventare riscossa ». A modo suo, è quello che sostiene anche Marisa: «Studio, capisco: e ce n’è ancora un sacco. Potrò studiare e capire, e imparare, per tutta la vita. Ma chi mi ferma, adesso…».
Alessandro Zaccuri
Avvenire, 7 gennaio 2020