Un anno di didattica a distanza non ha incrinato il rapporto di fiducia tra i giovani e la scuola, che, anzi, si è addirittura rafforzato, anche se non mancano le osservazioni critiche e le richieste di miglioramento, innanzitutto (e non è un caso) sul versante della dotazione tecnologica degli istituti e della capacità degli insegnanti di utilizzare efficacemente la tecnologia applicata alla didattica. È questo il dato più evidente che emerge dal capitolo Ripensare la scuola nell’epoca del coronavirus del Rapporto Giovani 2021 promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo e realizzato su un campione di persone tra i 19 e i 34 anni e anticipato da Avvenire.
La scuola «tiene»....
A cinque anni di distanza, il dato sul “grado di fiducia” nella scuola è migliorato. Se, infatti, nel 2015 soltanto il 6,2% degli intervistati le assegnava un voto alto (9-10), nel 2020, in piena pandemia, si è arrivati al 13,4%, con un incremento di 7,2 punti percentuali. Più della metà del campione, il 53,9% per l’esattezza, assegna un voto medio alto (tra 6 e 8), rispetto al 42,8% di cinque anni fa, facendo segnare un aumento del gradimento dell’11,1%. Di contro, scendono del 9,3% e dell’8,9% i giovani che assegnano alla scuola, rispettivamente, un voto tra il 3 e il 5 e l’1 e il 2.
...ma «a cosa serve?»
«Accanto a questo dato di sostanziale fiducia nella scuola – commenta Pierpaolo Triani, docente di Pedagogia all’Università Cattolica, che ha curato questo capitolo del Rapporto Giovani 2021 con il sociologo Diego Mesa, anch’egli collaboratore del Rapporto – non mancano le criticità: il 15% dei giovani (dato in aumento) afferma che la scuola “non serve a nulla”. Un dato coerente con quelli della dispersione scolastica, che in Italia si attesta intorno al 14-15%. Insomma: non siamo ancora al sicuro, perché c’è una porzione non piccola di giovani che non trova corrispondenza nella scuola rispetto ai propri bisogni e interessi».
Poca tecnologia
Da qui la richiesta di una maggiore qualità. Un anno di Dad ha convinto gli studenti che, su questo fronte, è assolutamente necessario e urgente un cambio di passo. In «dotazione tecnologica», infatti, la scuola non raggiunge la sufficienza, arrivando a uno stiracchiato 5,91. Si può e si deve fare di più. Anche nella formazione e aggiornamento professionale degli insegnanti: nemmeno la metà del campione, il 46,5% per la precisione, ritiene che i prof abbiano la «capacità di servirsi delle nuove tecnologie per l’attività didattica». Sotto il 50% anche la «capacità di valorizzare i talenti e orientare» (48,8%) e la «capacità di motivare allo studio» (49,5%).
Prof più «empatici»
«I giovani chiedono una didattica più vicina alle loro attitudini», sottolinea Triani. Anche se la maggioranza ritiene che gli insegnanti siano «culturalmente preparati per svolgere bene il proprio compito». Il 73,5% ritiene che abbiano il «possesso sicuro dei contenuti» che insegnano e il 72,2% che abbiano anche la «capacità di spiegare». Rappresentano poco più della metà del campione coloro che ritengono che abbiano la «capacità di coinvolgere gli studenti facendo lezioni stimolanti» (51,1%) e chi reputa che sappiano «tener conto delle esigenze e del punto di vista degli studenti» (51,2%). I ragazzi, insomma, chiedono una scuola maggiormente empatica («Un giovane su tre ritiene che le competenze relazionali siano poco diffuse tra i propri insegnanti», si legge nel Rapporto) e in sintonia con le loro esigenze di crescita a tutto tondo. «Dal momento che il saper costruire relazioni positive è un elemento considerato cruciale per esercitare adeguatamente la professione docente – prosegue il Rapporto Giovani 2021 – quanto espresso da parte della fascia giovanile della popolazione pone certamente la questione di un maggior rafforzamento formativo di questa area di competenze».
Il fattore Dad
La grande novità di quest’anno scolastico (e anche della seconda metà del precedente) è senz’altro la didattica a distanza, che pochissimi conoscevano e ancor meno utilizzavano prima di marzo 2020. Infatti, appena il 7,5% del campione ne faceva uso da prima dell’emergenza Coronavirus e il 36% la utilizza da dopo lo scoppio della pandemia. Per il resto, il 45% non l’ha mai utilizzata, né prima né ora e l’11,3% ne ha fatto uso soltanto in passato ma non adesso. In ogni caso, il giudizio complessivo è abbastanza buono. Il 19,1% assegna alla Dad un voto tra il 9 a il 10, il 53,9% tra 6 e 8, il 21,5% tra 3 e 5 e il 5,5% tra 1 e 2.
«La nostra ricerca – precisa il professor Triani – ha riguardato giovani tra i 19 e i 34 anni, molti dei quali sono ormai fuori dalla scuola. Questo, però, ha permesso una riflessione più distaccata e lucida, anche se ha inciso un po’ sui dati. Un esempio è proprio la Dad: non tutti l’hanno sperimentata. Il giudizio che ne danno è, comunque, equilibrato. Per i giovani, la Dad può rappresentare uno strumento di arricchimento e assolvimento di alcune funzioni di apprendimento, ma non può diventare prevalente. La dimensione relazionale è importante».
Una scuola “plurale”
Dalla lettura del Rapporto, emergono, infine, osservazioni utili per la scuola di domani. Che, secondo Triani, dovrà basarsi sul «pluralismo metodologico» per riuscire a «fare tesoro» dell’esperienza, faticosa ma comunque importante, di questo anno e mezzo di didattica a distanza. Non più soltanto lezioni frontali, insomma. «In questo percorso – conclude Triani – la scuola non dovrà essere lasciata sola, ma dovrà poter contare su un forte rapporto con il territorio e i corpi sociali. La scuola va pensata dentro una comunità più vasta, attraverso la stipula di Patti di corresponsabilità territoriali».
Paolo Ferrario
Avvenire, 16 maggio 2021