Si fa presto a dire: “la scuola”. Che fa questo bene o quello male, da criticare o con cui complimentarsi, di cui evidenziare i difetti e, spesso, dimenticare le virtù. “La scuola” è un nome comune di cosa, singolare, femminile, come insegna l’analisi grammaticale, contraddetta, però, dalla realtà: non c’è niente di meno comune (nel senso di ordinario) della scuola e di più plurale. È il regno delle possibilità, il suo territorio di conquista è il mondo: la scuola deve garantire a tutti gli strumenti per affrontarlo con consapevolezza e viverci con fiducia, ancora di più deve proteggere chi ha meno mezzi dal pericolo dell’esclusione sociale.
Il futuro – un buon futuro, dignitoso e sereno – affonda le radici nella carriera scolastica ma ne è anche il frutto, nutrito di conoscenze e competenze, di incontri e relazioni. Al contrario, la povertà economico-educativa si eredita: chi nasce in una famiglia senza istruzione, per quanto intelligente, ha più probabilità di frequentare solo la scuola dell’obbligo (e a volte neppure quella), di doversi accontentare di lavori poco pagati e altrettanto poco soddisfacenti, di sperimentare una situazione di bisogno più o meno grave nel corso della vita. E meno studi più sei povero, meno possibilità avrai di far studiare i tuoi figli: questa dinamica è così diffusa da essersi conquistata un nome, “trappola della povertà educativa”.
L’unica speranza dei bambini - senza colpa né peccato – che cadono in quella trappola è nella scuola, in quell’insegnante che non li lascerà indietro, che vedendoli rallentare si fermerà ad aspettarli. Ciò non vuol dire sacrificare la qualità dell’istruzione ma garantire la stessa qualità a ogni studente, comporta un pensiero cooperativo – uno per tutti e tutti per uno – e una gran fatica, spesso l’incomprensione. Empatia, compassione, comprensione e pietà non sono previsti nei programmi di scuola ma è importante insegnarli quanto la grammatica, la matematica o le lingue straniere. E basta l’esempio: i bambini osservano e imitano.
Nonostante i problemi e le difficoltà, sono tanti gli insegnanti che lavorano per una scuola giusta, per i quali ogni bambino non è un vaso da riempire – come scriveva Danilo Dolci – ma una fiaccola da accendere: non li guardano soltanto, i loro alunni, ma li vedono. E se è necessario frenare un po’ per dare, a chi ne ha già poche, una possibilità nella vita, allora si rallenti il ritmo, con buona pace dell’efficientismo e dell’ansia performante. Sai che accelerata, l’umanità?
Nicoletta Martinelli
Avvenire, 22 novembre 2024