Il dibattito pubblico sulle politiche scolastiche e formative è sempre molto acceso, forse perché ci troviamo in un periodo segnato da innovazioni non solo tecnologiche ma anche metodologiche, organizzative e di contesto. Di scuola si parla molto, anche sui media, ma troppo spesso lo si fa in maniera occasionale e poco approfondita: si discute dell’uso del telefonino in classe, ma non del tema ben più complesso degli strumenti e delle pratiche utili a costruire competenze informative; si parla del peso dei libri di testo e del rapporto fra manuali cartacei ed elettronici, ma non dei loro contenuti, della loro funzione, della loro organizzazione; si parla dell’uso di contenuti di apprendimento digitali, ma non della loro natura e delle loro tipologie.
Partendo da queste constatazioni, Gino Roncaglia, che insegna Informatica applicata alle discipline umanistiche all’Università della Tuscia (Viterbo), ha provato ad allargare lo sguardo, partendo dalle caratteristiche attuali dell’ecosistema digitale, caratterizzato da forte frammentazione ma anche da promesse e potenzialità che bisogna conoscere e sfruttare. Ha scritto così un saggio – denso, interessante, accattivante (anche nello stile) – dal titolo L’età della frammentazione. Cultura del libro e scuola digitale (Laterza, pagine 240, euro 18,00), con il quale si è proposto di provare a far capire a tutti quanto sia importante migliorare la qualità e la visibilità della discussione intorno alla scuola e alle nuove metodologie didattiche.
Professor Roncaglia, lei afferma che il libro di testo deve rimanere un elemento centrale nel processo di apprendimento a scuola. Non tutti però oggi la pensano allo stesso modo. Perché lei invece ne è così convinto?
«Perché continuiamo ad aver bisogno, e forse oggi abbiamo ancor più bisogno che in passato, di fili conduttori, di strumenti di riferimento autorevoli e validati; strumenti che aiutino a contestualizzare correttamente e a collegare fra loro le risorse di apprendimento per lo più frammentate e granulari reperibili in rete o autoprodotte da docenti e studenti. La rete offre al mondo della scuola contenuti in molti casi utilissimi, ma quasi mai capaci di produrre un quadro d’insieme. La funzione di raccordo va cercata altrove: nel docente, certo, ma anche in strumenti come i libri di testo, che possono essere usati nello studio individuale e comunque quando il docente non è presente. Questo non vuol dire, si badi, che il libro di testo debba restare quello della tradizione: può e anzi deve rinnovarsi anch’esso».
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Roberto Carnero
Avvenire, 12 giugno 2018