UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La scuola difficile per gli “stranieri”

Per la prima volta in quarant’anni scende il numero di ragazzi di origine non italiana presenti nei nostri istituti
12 Agosto 2022

Per la prima volta, da quasi quarant’anni, l’anno scolastico che si aprirà tra meno di un mese vedrà meno studenti con cittadinanza non italiana nelle nostre scuole. Non solo per questioni legate all’inverno demografico, che naturalmente incide anche sulle scelta di far figli delle famiglie straniere. Purtroppo tra questi alunni (che per altro in grande maggioranza – il 66,7% – sono nati in Italia) sta aumentando in maniera preoccupante anche il tasso di abbandono scolastico. Meno, dunque, e meno presenti tra i banchi. Lancia più di un campanello d’allarme sulla capacità della scuola italiana, ma anche e soprattutto dell’intera società di integrare i figli delle famiglie immigrate, l’ultimo rapporto sugli alunni con cittadinanza non italiana reso noto nei giorni scorsi dal ministero dell’Istruzione.

I dati, innanzitutto. Per la prima volta, si diceva, dal 1983/1984 – che è stato il primo anno scolastico nel quale sono state raccolte statistiche attendibili – nel 2020/2021 si registra una flessione della presenza di studenti non italiani nelle nostre scuole: sono 865.388, 11mila in meno rispetto all’anno precedente (-1,3%). Nonostante la flessione, resta inalterata la percentuale di studenti con cittadinanza non italiana sul totale degli studenti in Italia (sono il 10,3%) poiché è diminuito, al contempo, di quasi 121mila unità (-1,4%) anche il totale generale degli alunni. La contrazione delle iscrizioni è presente sin dalla scuola dell’infanzia (-12.742 bambini), nella primaria (-8mila) e alle medie (-3.550), mentre si registra un aumento di 13mila unità alle superiori. Dove, però, il tasso di scolarità nella fascia tra i 17 e i 18 anni scende al 77,4% (contro l’83,3% degli studenti italiani), rispetto al 94,1% della fascia tra i 14 e i 16 anni e del 100% per la fascia tra i 6 e i 13 anni.

In particolare, secondo il rapporto del ministero, per quanto riguarda la fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, l’Italia detiene il triste primato europeo di abbandoni scolastici tra i figli di immigrati: 35,4%. Seguono la Spagna con il 32,5%, la Germania con il 27,8% e Cipro con il 27,5%. Il Paese europeo più virtuoso è la Slovenia, che riesce a contenere il tasso di abbandono scolastico dei giovani immigrati all’8,7%, con il Lussemburgo al secondo posto (12,5%) a pari merito con la Repubblica Ceca.

«È uno spreco di risorse che non ci possiamo più permettere », sbotta Raffaela Milano, direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children Italia. Che ricorda come questo fenomeno abbia radici già nella scuola dell’infanzia dove, come abbiamo visto, le iscrizioni dei bambini non italiani stanno subendo una brusca frenata. «Siamo di fronte a una gravissima criticità che la scuola sta cercando di tamponare come può – ricorda Milano –. La scuola italiana, lo abbiamo visto con la crisi in Ucraina, ha una forte capacità di accoglienza, ma da sola non può far fronte a una situazione che per tante famiglie è più che drammatica. È comunque molto più avanti della politica, che, con la crisi di governo, ha ancora una volta rinchiuso nel cassetto la riforma dello Ius scholae, attesa da anni da decine di migliaia di bambini e ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma che non possono considerarsi italiani a tutti gli effetti ».

Già, perché la proposta dello Ius scholae insisteva proprio su questo aspetto: il coinvolgimento costruttivo dei bambini e dei ragazzi di origine straniera nei percorsi scolastici, il riconoscimento del loro percorso (e del loro diritto ad essere uguali agli altri), il potenziamento di tutti quei servizi che alla scuola servirebbero (e che alla scuola spesso mancano, per assenza di investimenti e di risorse umane) per garantire che siano seguiti in maniera adeguata, a cominciare dall’insegnamento della lingua italiana, che è la base di ogni progetto di integrazione. Sono le sfide da raccogliere per fare della scuola un luogo davvero inclusivo, e sono gli unici strumenti con cui si può arginare l’abbandono scolastico da parte di questi studenti.

L’emergenza educativa, poi, va di pari passo con la povertà in cui versano tante famiglie immigrate. Stando agli ultimi dati diffusi dal governo, gli stranieri in povertà assoluta nel 2021 erano oltre un milione e 600mila, con un’incidenza pari al 32,4%, oltre quattro volte superiore a quella degli italiani (7,2%). Per quanto riguarda i minori, quelli che vivono in povertà assoluta sono 1,4 milioni, di cui il 36,2% sono stranieri, rispetto all’8,3% degli italiani. «La povertà è uno dei fattori di rischio, sul fronte dell’abbandono scolastico – ricorda Milano – perché spinge tanti ragazzi a lasciare la scuola per aiutare economicamente la famiglia. Da questo punto di vista, è fondamentale l’orientamento anche rivolto agli stessi genitori. Per evitare che chi appartiene a famiglie povere, sia materialmente che culturalmente, non intraprenda percorsi formativi, anche universitari, con una conseguente, gravissima perdita di talenti». Proprio dal territorio, attraverso i “Patti di comunità”, può arrivare, allora, la spinta decisiva per interrompere la deriva formativa che sta pesantemente toccando i figli degli immigrati. Ma che, alla lunga, avrà ripercussioni negative sulla crescita dell’intero Paese.

Paolo Ferrario

Avvenire, 12 agosto 2022