UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“La scuola costruisce competenze”

La Società Italiana di Pedagogia: cambiare la legge sulla cittadinanza
11 Maggio 2022

Cambiare la legge sulla cittadinanza, basta bambini “stranieri a casa propria”. Arrivano parole nette dal Gruppo Intercultura della Società Italiana di Pedagogia (Siped) sulla riforma della cittadinanza. La presa di posizione avviene nel corso di un incontro con il deputato Giuseppe Brescia, relatore della proposta sinora ferma alla Commissione Affari Costituzionali.

«Attendiamo da tempo una riforma che dia diritto di cittadinanza a bambini e ragazzi effettivamente italiani». Così Massimiliano Fiorucci, il presidente della Siped, la società scientifica che riunisce i pedagogisti delle università italiane, indica l’urgenza della riforma. Per il Ministero dell’Istruzione i bambini senza cittadinanza italiana tra i banchi erano 877mila nell’anno scolastico 2019-20, il 10,3% della popolazione scolastica. Le loro famiglie provengono soprattutto dall’Europa (45,4%), poi dall’Africa (26,1%) e Asia (20,5%). I loro passaporti mostrano l’anacronismo: il 65,4% di questi minori stranieri sono «qui da una vita», sono nati in Italia. È la fotografia di un Paese che cambia: dieci anni prima, i nati in Italia erano solo il 26% tra gli alunni stranieri.

L’attuale legge compie trent’anni: quella del 1992 aggiornava le norme del 1912, ma in realtà l’impianto rimaneva quello dell’età giolittiana, quando l’Italia era un paese di emigrazione (e quindi occorreva mantenere 'il sangue' degli italiani che andavano all’estero) e non di immigrazione.

Per Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali, «ogni tentativo di riforma è stato fin qui fortemente influenzato da strumentalizzazioni politiche». La proposta attuale risponde alla necessità di gradualismo, è meno avanzata delle richieste della società civile, ma «cambia il paradigma». Introduce lo ius scholae: può chiedere la cittadinanza un bambino nato in Italia o giunto entro i 12 anni, con entrambi i genitori regolarmente presenti, che abbia frequentato, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici nelle scuole italiane.

Per i pedagogisti lo ius scholae è una scelta di fiducia non solo verso i giovani che qui costruiscono il proprio futuro, ma verso gli insegnanti. È la scuola - e non il sangue - il principale agente di costruzione dell’identità. Milena Santerini della Cattolica di Milano, coordinatrice del Gruppo Intercultura, spiega: «L’ottenimento della cittadinanza è un momento importante dell’integrazione ed è frequentando la scuola che si possono esercitare le competenze dei cittadini. Come mostrano molte esperienze a livello psicopedagogico, esiste un vero e proprio 'vantaggio di cittadinanza' per i bambini e per la società che li accoglie.

Una recente ricerca olandese del 2021 prova come gli studenti che acquisiscono la cittadinanza hanno una probabilità decisamente maggiore di seguire traiettorie di successo». Al contrario ricorda l’altro coordinatore del Gruppo Intercultura Agostino Portera dell’Università di Verona - non avere la cittadinanza è associato a un rischio maggiore di abbandono scolastico e di esclusione sociale. «I giovani – continua Santerini – percepiscono la cittadinanza come una protezione dalla precarietà del diritto e una condizione per una piena ed effettiva partecipazione. I bambini che si sentono più inclusi nella società hanno livelli di motivazione più elevati».

Maurizio Ambrosini della Statale di Milano sottolinea come nel campo lavorativo la mancata cittadinanza causa la discriminazione e aggiunge: «Lo ius scholae è stato introdotto in Grecia proprio durante la crisi economica: si possono fare riforme coraggiose, capaci di guardare avanti, anche nei momenti di difficoltà'.

In Italia, invece, spesso il tema è stato posposto «per altre priorità»: a fine maggio i capigruppo della Camera dovranno decidere se portare in aula il testo che ora è al vaglio della Commissione. Anche ieri è stata un’ulteriore giornata di ostruzionismo. Intanto, tra i giovani “made in Italy” c’è chi cresce sognando di diventare commissario di polizia o pilota d’aereo, ma poi scopre che non è possibile perché ha perso la residenza per pochi mesi e quindi non ottiene la cittadinanza. Chi è l’unico della classe che non va in gita all’estero o chi, in diversi sport, vestirebbe la maglia azzurra per il merito e invece deve seguire i mondiali dalla tv perché “straniero a casa propria”.

Stefano Pasta

Avvenire, 11 maggio 2022