UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La prof insegna filosofia in cella: «In carcere aiutiamo a pensare»

Paola Saporiti, docente di liceo, ogni mese incontra persone che stanno scontando la pena: riflettiamo sulla dignità.
19 Dicembre 2022

Riducono la recidiva, restituiscono dignità alla persona e danno valore al tempo della pena. È questo che fanno le iniziative culturali portate in carcere dalle associazioni di volontariato e anche dai cappellani degli istituti di pena. Attività che hanno sempre anche l’obiettivo di essere un tassello della rieducazione del condannato e progetto sociale destinato a influire sulla vita dei detenuti, su come guardano a se stessi e al mondo fuori.

Non solo. «Queste esperienze aumentano l’autostima, promuovono l’interazione con gli altri e sono un ponte con la società, tra chi sta dentro e chi vive fuori». Ne è convinta la filosofa Paola Saporiti, docente al Liceo Edith Stein di Gavirate (Varese), che per l’associazione di volontariato in carcere più antica d’Italia – Sesta Opera San Fedele – dal 2014 porta la filosofia in carcere. Non per insegnare Platone o Kant ai detenuti, ma per piantare semi che con il tempo e la giusta cura, possano crescere e dare frutti. Da questa idea è nato il “Café Philò”: «Ogni mese entro nel carcere di Bollate insieme ai miei studenti dell’ultimo anno del liceo, sia nel reparto maschile che, dal 2015, in quello femminile – spiega –. Questo è un momento che stimola la riflessione degli studenti e dei detenuti insieme su temi che sono stati oggetto dei ragionamenti dei grandi filosofi come la felicità, il rispetto, la giustizia e la scelta. L’esperienza di questa forma di volontariato fatta di dialogo, permette ai miei studenti di dare forma al concetto di dignità e di rieducazione della pena. Inoltre li rende consapevoli della responsabilità civile che abbiamo gli uni verso gli altri, anche nel caso in cui l’altro sia detenuto. Nel momento in cui la filosofia viene portata all’interno del carcere, non solo ritorna alle sue origini più autentiche ma soprattutto rivela tutta la sua valenza pedagogica».

Se la filosofia aiuta i detenuti a riflettere sulle sfumature della vita, l’idea di don David Riboldi, cappellano al carcere di Busto Arsizio è nata con lo stesso scopo: restituire a chi sta fuori, a colori, la vita in carcere. Un luogo spesso pensato in bianco e nero. «Nell’anno del tragico record dei suicidi negli istituti di pena, sintomo di solitudine, abbiamo pensato di proporre un corso di fotografia ai detenuti. Tenuto da un fotografo professionista ha permesso loro di realizzare un calendario. Questo è anche l’unico calendario 2023 al 100% realizzato da detenuti: infatti è stato ideato dalle persone recluse che si sono iscritte al corso di fotografia e seguito le 10 lezioni promosse dalla cooperativa sociale “La Valle di Ezechiele” in accordo con l’area trattamentale del penitenziario. Negli scatti hanno ricreato scene di vita quotidiana insieme ad alcuni volti noti come Adriana Volpe, Debora Villa, Jo Squillo, Patrick Ray Pugliese, Marco Maddaloni, Martina Tammaro ed Erika Mattina che si sono messi a disposizione dei detenuti. Infine il calendario è stato stampato dalla cooperativa Zerografica, che dà lavoro ai detenuti del carcere di Bollate».

Lo sguardo del cappellano torna a quanto è accaduto quest'anno: «La solitudine sta seminando morte in carcere come non mai nella storia della Repubblica». Per moltiplicare le attività don Riboldi ha organizzato un percorso artistico all’interno della casa circondariale di Busto, insieme al “gruppo presepi Marnate”: «Ho trovato la disponibilità dei presepisti a condividere la loro passione e il loro knowhow in 10 appuntamenti di formazione con i detenuti e insieme abbiamo realizzato un presepe, partendo da zero: polisitirolo, colori, fantasia».

Luca Cereda

Avvenire, 18 dicembre 2022