UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«La nuova scuola? Aperta alla città»

L’architetto Femia: occorre intervenire sull’esistente, servono 10 miliardi in 10 anni
28 Maggio 2020

«La riapertura delle scuole necessita di un’assunzione di responsabilità collettiva, che porti un sistema chiuso e monolitico ad aprirsi, diventando cellulare, poroso, aperto al territorio e alla comunità. Se nemmeno una pandemia mondiale ci sollecita a fare questo lavoro, a considerare anche questa faccia del problema, non so davvero che cosa possa smuovere una scuola che, in Italia, si è fermata agli anni ’70».

Per l’architetto Alfonso Femia, titolare di uno studio con sedi a Milano, Parigi e Genova, esperto di edilizia scolastica, il dibattito sulla scuola non può limitarsi ai pur importanti protocolli di sicurezza, ma deve riguardare anche il ruolo e la funzione che il sistema d’istruzione dovrà assumere nell’era Covid-19.

Banchi distanziati di un metro, classi con un massimo di 10 alunni e ingressi separati dalle uscite: sarà solo questa la scuola del futuro?

Le scuole hanno spazi di relazione esterni che fanno parte del tessuto della città, che possono diventare parte integrante della didattica. Anziché stare a casa e fare didattica a distanza, la scuola si può fare anche al parco, all’auditorium. La scuola deve diventa- re parte del paesaggio urbano e l’edificio scolastico deve diventare cellulare e poroso, “colonizzando” il contesto. Invece, le scuole oggi non appartengono alla città, che non le considera come parte fondamentale della sua natura.

Come si fa con scuole che, soltanto per il 32%, sono state costruite dal 1976 in avanti?

È necessario intervenire sull’esistente, utilizzando le risorse del territorio che possono essere riadattate ad ospitare la scuola. In tutti i Comuni ci sono edifici non utilizzati, abbiamo più volumetria di quella che serve. c. Per far ciò è però necessario rovesciare il cannocchiale, cambiando il paradigma e mettendo in gioco la città, impiegando utilmente spazi oggi abbandonati e inutilizzati.

Qual è il compito della scuola in questo contesto?

La scuola, sia statale che paritaria, deve fare massa critica, avviando definitivamente quel Piano nazionale di cui si parla da tanti anni e che, finora, ha partorito pochi esempi. Prima di parlare di rientro dobbiamo avere una visione chiara, che ancora manca e che, invece, in altri Paesi è ben definita. Perché i bambini danesi sono rientrati a scuola da un mese e i nostri no? Serve una visione corale per far sì che gli investimenti sulla scuola abbiano, a cascata, una ricaduta sul territorio.

Quanti soldi servirebbero per finanziare questa nuova progettualità?

Finora l’unico piano che ha dato qualche risultato è stato quello del governo Renzi, che ha investito sull’edilizia scolastica 3 miliardi a fondo perduto. Oggi si parla di 1 miliardo e mezzo, che, praticamente, andrà tutto in sicurezza, cioè mascherine e affini. Nessuno si occupa degli spazi. Invece, i Comuni dovrebbero chiedere finanziamenti a fondo perduto per far partire nuovi cantieri in tempi rapidi, cominciando con un piano che preveda la realizzazione delle scuole dove sono necessarie. Oggi, in Italia, abbiamo un patrimonio, tra statale e privato, di oltre 50mila edifici, che richiederebbe un investimento di 10 miliardi in 10 anni. Un investimento sul futuro di tutti.

Paolo Ferrario

Avvenire, 27 maggio 2020