Il prossimo giugno gli studenti della Maturità dovranno affrontare lo scoglio del nuovo esame di Stato. Sono già state effettuate le prime simulazioni dei due scritti e a scuola, nelle aule come in sala insegnanti, non si parla d’altro.
C’era proprio bisogno di cambiare un’altra volta l’impianto delle prove? Sì, purtroppo, perché quello rimasto in vigore fino all’anno scorso presentava molti e gravi difetti, che dovevano essere necessariamente rimossi. Ma forse non c’era bisogno di cambiarlo così in fretta, senza dare ai soggetti coinvolti (studenti, docenti, editori) il tempo necessario per adattare contenuti, metodi e strumenti didattici alle richieste del nuovo esame di Stato. Le simulazioni programmate dal Ministero dell’Istruzione offrono senza dubbio un prezioso orientamento sulle tracce e sulle consegne che gli studenti si troveranno davanti il giorno delle prove, ma sarebbe stato opportuno prevedere un periodo di addestramento più lungo, perché il cambiamento dell’esame finale non può non riverberarsi, retroattivamente, sull’intero ciclo di studi, imponendo delle modifiche, anche sostanziali, nei programmi e nella didattica, in particolare, dell’ultimo triennio.
C’è poi un’altra questione di fondo, assolutamente ineludibile: quella che concerne l’efficacia delle soluzioni adottate. Viene infatti da domandarsi se, dopo diversi tentativi più o meno infelici, si sia riusciti, finalmente, col nuovo esame di Stato, a trovare delle modalità soddisfacenti per accertare il conseguimento, da parte di ciascun candidato, degli obiettivi formativi previsti al termine del percorso liceale o dell’istruzione tecnica e professionale. Perché - va da sé - se così non fosse, c’è da aspettarsi che di qui a qualche anno si dovrà mettere mano a una nuova riforma. Il giudizio, sotto questo profilo, resta in bilico: se da un lato la nuova normativa risolve convincentemente alcuni nodi critici della vecchia Maturità, dall’altro solleva anche qualche motivo di perplessità davanti a certe scelte che paiono francamente peggiorative. Vediamo un po’ più in dettaglio luci e ombre del nuovo esame di Stato. Il primo scritto, uguale per tutti i tipi di scuola secondaria superiore, diventa sicuramente più abbordabile. Per cominciare, lo studente potrà scegliere fra sette tracce, riconducibili a tre diverse tipologie (A = analisi e interpretazione di un testo letterario italiano; B = analisi e produzione di un testo argomentativo; C = riflessione critica su tematiche di attualità): avrà quindi più chance, complessivamente e all’interno di ogni tipologia. Inoltre, viene eliminato il copioso e dispersivo dossier di documenti fornito per lo svolgimento della prova nella vecchia Maturità, che schiacciava in partenza, col suo peso ingombrante, l’elaborazione di qualsiasi percorso autonomo da parte dei candidati. La nuova normativa stabilisce invece che ci sia, quando è previsto, un solo testo d’appoggio, sul quale e a partire dal quale si lavora e si riflette. Un’ulteriore semplificazione viene dall’inserimento, nelle tipologie A e B, di una parte strutturata, in cui cioè lo studente deve rispondere a specifiche domande o richieste. Il tema letterario, poi (tipologia A), verterà, a norma di legge, su un testo «compreso nel periodo che va dall’unità d’Italia ad oggi», con la possibilità concreta che una delle due tracce di questa tipologia riguardi autori di secondo Ottocento, più facilmente inquadrabili perché già studiati durante l’anno. Positiva anche la predisposizione di griglie di valutazione, per un giudizio meno impressionistico e meno condizionato, per quanto umanamente possibile, dalla soggettività dei commissari.
Da più parti è stata lamentata la soppressione del tema storico. Si tratta, invero, più che altro di una rivendicazione di principio, a fronte della percentuale minima di maturandi (1%) che negli anni passati sceglievano questa tipologia. Se si guardano, tuttavia, le tracce ministeriali proposte per la simulazione dello scorso febbraio, si scopre che la storia, cacciata dalla porta, rientra ampiamente dalla finestra, com’è giusto (e imprescindibile) che sia: le due tracce della tipologia A, infatti, riguardavano rispettivamente Patria di Pascoli e un brano de La Storia di Elsa Morante, mentre delle tre relative alla tipologia B la prima prendeva le mosse addirittura dalla Prima lezione di storia contemporanea di Claudio Pavone, la seconda, dedicata ai diritti umani e alla loro violazione, tirava in ballo Nelson Mandela e la terza evocava lo scenario della globalizzazione.
Maggiori perplessità suscita un aspetto della seconda prova scritta, diversa a seconda degli specifici indirizzi di studio, perché inerente alle loro discipline caratterizzanti. Per moltissimi indirizzi, infatti, viene introdotta la cosiddetta 'prova mista', che coinvolge due materie (Latino e Greco al Liceo Classico, Matematica e Fisica allo Scientifico ecc.). La cosa, in sé, non è priva di senso, ma presta il fianco ad almeno un paio di obiezioni: intanto, non tutti i contenuti di una determinata disciplina sono fruibili in prospettiva interdisciplinare, e ciò potrebbe avere una ricaduta negativa sul programma, inducendo gli insegnanti a prestare minor attenzione o a sacrificare del tutto contenuti meno spendibili per questa prova; in secondo luogo, una prova mista non s’improvvisa: per affrontarla decentemente, bisogna che sia già diventata una pratica didattica abituale, del che in tanti casi è legittimo dubitare.
Ma il vero tallone d’Achille del nuovo esame di Stato è il colloquio orale, dal quale è stata esclusa la vecchia, benemerita, 'tesina', che costituiva, oltre a un punto di ancoraggio solido e rassicurante per i candidati, la loro prima ricerca importante e il primo vero banco di prova delle competenze acquisite. La busta chiusa da scegliere, coi materiali forniti dalla commissione, che ne prende il posto, somiglia invece a una roulette russa ed è un’occasione mancata di lavoro autonomo e originale.
Giuseppe Langella
Avvenire, 13 aprile 2019