«La Chiesa è fondamentalmente europeista, ma perché è cattolica. Quindi non è solo per l’unità dell’Europa, ma è per la fraternità universale. Arrivassimo anche agli Stati Uniti d’Europa, la nostra unità non sarà uniformità ma convergenza e apprezzamento delle differenze. La pluralità delle culture è un tesoro irrinunciabile». Torna a parlare di Europa, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini. E lo fa nell’aula magna, gremita, dell’Università Bocconi. Davanti a lui gli studenti 'di casa' e quelli di altri atenei. Fra loro, nelle prime file, i dieci giovani scelti per offrire all’arcivescovo riflessioni e domande, frutto di un confronto che ha preso le mosse dall’ultimo Discorso alla cittàdi Delpini, «Autorizzati a pensare. Visione e ragione per il bene comune». Ecco, dunque, il titolo dato al dialogo svoltosi ieri sera fra i ragazzi e il pastore: «Autorizzati a pensare in Europa, autorizzati a pensare l’Europa», ricorda in apertura don Marco Cianci, responsabile della Sezione università del Servizio giovani della diocesi, intervenuto dopo il rettore della Bocconi, Gianmario Verona.
Ed è un’Europa che interpella e provoca il pensiero, lo studio, la passione e la vita dei giovani, quella che emerge dalle loro impegnative domande. L’arcivescovo non si sottrae, mostra una volta di più come l’Europa sia fra i temi che gli stanno a cuore. E lo fa con la consueta ironia, e intrecciando – riconoscerà nell’intervento finale il presidente della Bocconi, ex premier ed ex commissario europeo Mario Monti –understatement rispetto a se stesso e uno sguardo lucido e rasserenante su ciò che ci circonda. Uno sguardo coltivato fin da ragazzo, confessa Delpini, che racconta ai ragazzi come abbia iniziato ad «amare l’idea di Europa » leggendo Erodoto, l’amore dei greci per la libertà, la loro resistenza a Serse. «La libertà dell’uomo, la sua singolarità, il suo valore, ecco cosa costituisce la vocazione dell’Europa », afferma l’arcivescovo. «Mi affascina l’idea che ci sia come una protezione che viene dall’alto sulla storia europea», aggiunge parlando della bandiera europea, «che ricorda Maria, la 'donna vestita di sole' dell’Apocalisse coronata di dodici stelle. Forse sono un’idealista. Ma sono anche un credente. E credo cheil Signore abbia un disegno, al quale noi possiamo collaborare perché si realizzi. E credo che questo disegno, che preferisce la pace alla guerra, la collaborazione alla concorrenza, l’incontro allo scontro, sia benedetto da Dio».
Ecco l’Europa secondo Delpini: una vocazione all’unità che non può nascere solo dall’interesse odalla paura – com’è oggi la «paura per l’invasione dei poveri» tanto diffusa – ma dai «valori comuni ». L’unità verrà «solo dal basso, dalle persone di buon senso che abitano a milioni l’Europa e capiscono che solo nell’intraprendenza di donne e uomini liberi, impegnati a costruire un’Europa sui suoi valori – la persona, la comunità, il diritto, la libertà – può esserci un percorso promettente per il continente». Le radici cristiane dell’Europa? Per l’arcivescovo sono vive, «stanno nella terra, il luogo delle radici, e daranno frutto. Ma in chi sta attaccato alle radici». La dottrina sociale della Chiesa? Una risorsa, se intesa non come «rivendicazione ideologica» ma prospettiva, com’è proprio delcristianesimo, che «porta a pienezza l’umano» in ogni campo, anche nell’economia, nella politica, nell’ecologia. I cristiani possono «dare un’anima all’Europa », aiutare a «correggere l’inerzia della storia». Una dimensione preziosa è offerta dall’ecumenismo. «Io vedo il cammino europeo come un percorso penitenziale della Chiesa», spiegaDelpini, additando la ferita delle divisioni fra i cristiani e il loro impegno per l’unità. È a «voi, giovani d’Europa», che è affidato il futuro del continente. Alla vostra capacità di «costruire amicizie». Perché non basta avere idee e valori: da «soli non si fa nulla», insieme «si possono cambiare le cose».
Lorenzo Rosoli
Avvenire, 6 marzo 2019