UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Lʼalleanza tra famiglia e scuola? Se amiamo i ragazzi si può fare”

Valentina Petri, mamma e prof, star di Facebook: meno burocrazia, meno progetti. E più responsabilità da parte di noi adulti
16 Maggio 2022

«Ogni mattina, quando varco la porta della classe, ho un obiettivo primario: che i miei studenti restino vivi fino al termine della lezione». Usa molta ironia e anche un pizzico di incoscienza, Valentina Petri, per raccontare la scuola in “presa diretta”. Dal 2017 gestisce la pagina Facebook “Portami il diario”, seguita da oltre 70mila persone, in gran parte insegnanti, da cui ha preso il titolo anche il primo libro di questa insegnante di Lettere all’Istituto professionale “Francis Lombardi” di Vercelli, che è stato subito un successo editoriale. Da qualche giorno è uscito il seguito, “Val al posto”, edito da Rizzoli. Protagonista di entrambe le opere è la prof Valentina, che nel secondo volume è finalmente riuscita ad entrare in ruolo dopo anni di precariato. Trafila comune a tantissimi insegnanti, costretti a peregrinare tra scuole e territori diversi prima di approdare all’agognata cattedra. Un percorso a ostacoli che scoraggia anche tanti giovani dall’intraprendere la carriera di insegnante, come sottolinea la professoressa Petri in questa intervista.

Dopo tanti mesi di didattica a distanza, che anno scolastico è stato quello che sta per finire?

È stato sicuramente un anno strano, come sono stati strani gli ultimi due anni scolastici e mezzo. Prima la Dad poi la didattica mista hanno cambiato il nostro modo di vivere la scuola. Io insegno in un istituto professionale con un’utenza molto variegata. La sfida più grande è stata tenere insieme i ragazzi, perché il rischio che qualcuno si perdesse per strada era comunque elevato. In ogni caso, è stato bello ritrovare i ragazzi in presenza. Quasi tutti, perché, purtroppo, qualcuno ha abbandonato, alcuni per le oggettive difficoltà a collegarsi alle lezioni online.

Che studenti ha ritrovato?

Devo dire che i ragazzi si adattano facilmente anche se mi sono sembrati contenti di essere ritornati in classe. In questi due anni e mezzo abbiamo capito che la Didattica a distanza è un’ottima soluzione di emergenza ma che la scuola è un’altra cosa. Per questa ragione, nel secondo libro ho voluto restituire un anno di scuola normale, in cui si sta insieme a volto scoperto, ci si scambia la merenda, un anno in cui ci si innamora, si litiga, ci si bacia.

Come avete vissuto questo periodo voi insegnanti?

La pandemia ha fermato tutto e anche noi abbiamo passato mesi difficili.

Nei suoi libri racconta episodi così strani da sembrare inverosimili: non inventa proprio nulla?

Gli episodi che racconto sembrano inverosimili a chi nella scuola non insegna. La conferma mi arriva quotidianamente sulla pagina Facebook, dove racconto alcune delle storie poi comprese nei miei libri. Tanti colleghi mi scrivono per dirmi che ciò che racconto è successo davvero nella loro scuola. Questo conferma la mia teoria secondo cui le scuole si assomigliano tutte in ogni parte d’Italia e certe dinamiche si ripetono uguali in contesti distanti anche centinaia di chilometri.

Qual è la sua definizione di scuola?

La scuola è un grandissimo laboratorio dove i ragazzi imparano a muoversi e a diventare grandi, insieme. Per tanti studenti è un “male necessario” ma è anche l’unico luogo dove si impara a stare insieme agli altri. Non c’è alternativa. Per noi insegnanti, la scuola è un osservatorio privilegiato che ci permette di seguire passo passo la crescita dei nostri studenti.

Ogni anno c’è chi vuole cambiare la scuola: lei come e cosa cambierebbe della scuola che conosce?

Credo che non serva a nulla cambiare la scuola con la riforma del momento. La scuola è parte integrante della società e non è possibile cambiarla senza cambiare tutto il contesto in cui è inserita. A partire dalla scarsissima considerazione sociale di cui godiamo noi insegnanti.

Dice questo perché sono ripresi i colloqui in presenza con i genitori?

Non tutti sono “sindacalisti dei figli”, non bisogna generalizzare. Insegnando in un istituto professionale incontro una gamma diversissima di famiglie. Certo, in questo senso, la Dad e i colloqui a distanza mi hanno permesso di conoscere genitori che prima non avevo mai incontrato, perché non avevano tempo di venire a scuola per i colloqui. Con alcune famiglie il rapporto è un po’ complicato, ma con quelle più presenti è possibile stringere una vera alleanza educativa.

Che altro vorrebbe veder cambiare nella scuola?

Guardi, io insegno ancora con le lavagne di ardesia e adesso c’è chi dice che le Lim sono superate e vanno cambiate. Ecco, se vogliono mandarle a Vercelli le prendiamo volentieri. Invece di inondare le scuole di “progetti” perché non cominciamo col ridurre il numero di alunni per classe? Con gruppi più piccoli e più tempo a disposizione anche l’endecasillabo risulterebbe meno indigesto. E poi c’è il capitolo burocrazia, che, soprattutto in questo momento dell’anno, è davvero schiacciante. Anche per questo, oltre che per lo stipendio, quello dell’insegnante non è un lavoro certamente appetibile per i giovani.

E lei, perché ha scelto questo mestiere?

Per trasmettere l’amore per le tante cose belle che abbiamo in questo Paese. Lo sento come una grande responsabilità.

Paolo Ferrario

Avvenire, 15 maggio 2022