UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Ius Scholae, ecco cosa può cambiare

«Nel 2025 già 200mila nuovi italiani»
7 Settembre 2024

La crescita degli studenti stranieri nelle scuole italiane conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che l’immigrazione non è un fenomeno episodico, ma strutturale, mentre le prime stime sulla possibile (e per ora del tutto ipotetica) introduzione dello Ius Scholae nel nostro Paese danno la misura di un percorso graduale, tutt’altro che massiccio, all’insegna dell’integrazione: a fronte di quasi un milione di ragazzi nel limbo, infatti, sarebbero circa 200mila quelli che già nel 2025 diventerebbero “nuovi italiani”.

Diversi percorsi possibili

Per quanto riguarda gli studenti che avrebbero diritto allo Ius Scholae, Fondazione Ismu ha fatto una prima stima della platea di ragazzi potenzialmente interessati dal provvedimento: si tratta di circa 200mila persone, ipotizzando l’avvio nel 2025. «Tale stima - sottolinea una nota della Fondazione - è da considerare come relativa a una platea aggiuntiva di potenziali acquirenti, dei quali molti potranno acquisire la cittadinanza italiana per altre vie già contemplate (soprattutto in seguito alla lungo residenza dei genitori) e molti altri, soprattutto di alcuni Paesi, presumibilmente sceglieranno di non richiederla».

Secondo Ennio Codini, professore di Diritto pubblico all’Università Cattolica e responsabile del settore legislazione della Fondazione Ismu, «dovremmo innanzitutto cominciare a liberarci dall’idea di collegare il governo dei flussi al tema della cittadinanza. Non c’è nessun nesso tra controllo degli arrivi e Ius Scholae». Detto in modo più diretto, «non è che con l’introduzione dello Ius Scholae aumenteranno i barconi». Il punto semmai è definire quando e come questi ragazzi migranti, nati e cresciuti in Italia, diventeranno nostri connazionali. Di circa un milione di adolescenti stranieri nel limbo, ogni anno un certo numero ottiene la cittadinanza per semplice trasmissione da parte dei genitori. Poi ci sono altri due aspetti da considerare: uno riguarda il nodo della doppia cittadinanza, l’altro il tema della scuola come veicolo di integrazione. Sul primo punto, spiega Codini, va riconosciuto che, nei percorsi di accesso alla cittadinanza, «ci sono eccezioni possibili. C’è un numero non trascurabile di stranieri non interessati a diventare italiani perché frenati dagli ordinamenti giuridici dei Paesi di provenienza, uno su tutti la Cina, che dicono “no” al principio della doppia cittadinanza, previsto invece in Italia. L’altra questione da affrontare sullo sfondo resta quella di agganciare l’acquisto della cittadinanza al momento formativo dell’adolescenza: in questo senso, lo Ius Scholae potrebbe essere un piccolo incentivo a restare nel mondo della scuola per chi invece è a rischio dispersione scolastica».

Il picco di presenze

I dati diffusi ieri dalla Fondazione Ismu in occasione dell’apertura dell’anno scolastico parlano di un aumento degli alunni con cittadinanza non italiana: si passa infatti dagli 872mila dell’anno scolastico. 2021/2022 ai 915mila dell’anno scolastico 2022/2023. Si tratta di un incremento vicino al 5%, il più sensibile negli ultimi anni, visto che nell’ultimo decennio l’incremento annuale era stato al massimo di poco superiore al 2%. La ragione? Va ricercata nella forte crescita della presenza ucraina nelle scuole italiane.

«È in atto un processo di stabilizzazione della presenza degli immigrati in Italia» osserva Codini. «Il migrante non è più presenza occasionale come negli anni Novanta, quando spesso arrivava da solo nella nostra penisola, attraversando i confini. Oggi ci si radica in un territorio, si costituiscono legami familiari, si avvia il capitolo sempre più decisivo dei ricongiungimenti familiari. Il singolo crea la famiglia, le famiglie fanno una comunità e la nascita dei figli è un passo fondamentale. A completare il percorso, appunto, deve essere poi la scuola». In generale, i processi di stabilizzazione portano a una domanda di cittadinanza, anche se non immediata. È un passaggio fisiologico, che avviene nel momento in cui una famiglia si sistema gradualmente nel Paese. «Di fatto le nostre leggi prevedono già un percorso ed è evidente, in questo momento, che la strada più virtuosa è rappresentata dall’ottenimento a 16 anni, con 10 anni di frequenza o adempimento dell’obbligo scolastico. Il problema resta disegnare il percorso migliore per garantire l’integrazione».

In media, ha cittadinanza straniera più di un alunno su nove (fino all'anno scolastico precedente erano uno su dieci), senza considerare coloro che sono già divenuti italiani - a questo proposito, ad esempio, nel 2022 le persone di età inferiore a 20 anni naturalizzate sono state 72mila – né chi è italiano con un background familiare di migrazione. I nati in Italia rappresentano ben più della metà degli iscritti con cittadinanza non italiana (65,4%).

Il “fattore” Kiev in classe

Sono raddoppiati gli studenti ucraini sui banchi delle nostre classi, passati da 20mila a 43mila unità. Contemporaneamente, i ragazzi romeni, che erano primi in graduatoria, sono diminuiti da 152mila a 149mila. Più di metà dell’ultimo aumento annuale di studenti stranieri nel nostro Paese, dipende dagli arrivi legati alla guerra in Ucraina. Profughi che si sono mossi per ragioni umanitarie all’inizio del conflitto e che poi, una volta arrivati nel nostro Paese, hanno mandato i loro figli nelle nostre scuole. Il dato ucraino è particolarmente interessante perché, a fronte di un aumento annuale di 23mila alunni, durante il 2022 la crescita di stranieri residenti di età inferiore ai 20 anni è stata inferiore alle 8mila unità (all’incirca un terzo), e in età compresa fra i 5 e i 14 anni inferiore alle 5mila, a significare un maggior inserimento scolastico più che un effetto di maggiore iscrizione anagrafica. In entrambi i casi si tratta di valori inferiori rispetto al numero di minori in fuga dalla guerra entrati in Italia durante il 2022, che sono stati molti di più e cioè 49mila. Durante l’anno scolastico 2022/2023, infine, si è toccata la massima quota femminile all’interno della componente di alunni con cittadinanza non italiana, quantomeno con riferimento all'ultimo decennio, con un ultimo valore del 48,4% contro i livelli negli anni precedenti sempre inferiori al 48,2%. Nelle scuole secondarie di secondo grado, in particolare, la componente femminile tra i non italiani rappresenta in media la maggioranza assoluta.

Diego Motta

Avvenire, 6 settembre 2024