Servizi all’infanzia sempre più cari per le famiglie italiane. In dieci anni la quota a carico dei genitori dei bambini che frequentano gli asili nido e gli altri servizi è passata dal 17,4% al 20,3% della spesa corrente impegnata dai Comuni, che in un anno è, invece, diminuita del 5%. Lo evidenzia il report sugli asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, diffuso ieri dall’Istat, che ha analizzato i dati 2014-2015.
«L’aumento delle tariffe richieste dai Comuni per i servizi offerti e la difficile situa- zione reddituale e lavorativa delle famiglie – si legge nel rapporto dell’Istituto di statistica – sono tra i fattori che hanno influito sul calo delle iscrizioni. In molte realtà territoriali, gli asili nido comunali hanno un numero di iscrizioni decisamente inferiore rispetto ai posti disponibili e talvolta la mancanza di domanda da parte delle famiglie determina la chiusura di strutture pubbliche. A livello nazionale risulta che i bambini iscritti agli asili nido comunali, nell’anno preso in esame, coprono l’87% dei posti disponibili nel settore pubblico». Sul territorio nazionale, l’Istituto di statistica ha censito 13.262 strutture, di cui il 36% è pubblico e il 64% privato. Dal punto di vista del tipo di servizio offerto prevalgono nettamente i nidi o micronidi, che rappresentano l’80,5% dei posti disponibili, il 10,5% si trova nelle sezioni primavera, quelle cioè che accolgono bambini di 24-36 mesi all’interno delle scuole dell’infanzia, mentre i cosiddetti “servizi integrativi per la prima infanzia” (nidi in contesto domiciliare, spazi gioco e centri per bambini e genitori) contribuiscono con un 9% all’offerta complessiva. Complessivamente, i posti disponibili sono 357.786 e coprono il 22,8% del potenziale bacino d’utenza, costituito dai bambini sotto i tre anni residenti in Italia. In pratica, poco più di un bambino su cinque ha accesso ai servizi. E la situazione è molto diversificata sul territorio, con il Sud ancora nelle posizioni di retrovia. Infatti, mentre al Nord-Est e al Centro Italia i posti censiti coprono circa il 30% delle domande delle famiglie con figli sotto i tre anni e al Nord-Ovest si arriva al 27%, al Sud e nelle Isole si arriva rispettivamente al 10% e al 14%. Per quanto riguarda i servizi comunali, i bambini accolti variano dal 18,3% del Centro al 4,1% del Sud.
Le differenze territoriali sono marcate anche sotto l’aspetto della spesa comunale per finanziare i servizi, che nel 2014 è risultata pari a 1 miliardo e 482 milioni su scala nazionale, accusando una contrazione del 5% rispetto all’anno precedente. Confrontando i Comuni capoluogo di provincia, la spesa più alta si ha a Trento, con 3.545 euro per bambino residente, seguono Venezia con 2.935, Roma con 2.843, Aosta con 2.804 euro; sul versante opposto si trovano i Comuni sardi di Lanusei e Sanluri, che non hanno riportato spese per questo tipo di servizi, Reggio Calabria (19 euro per bambino), Catanzaro (38 euro) e Vibo Valentia (46 euro).
Paolo Ferrario
Avvenire, 13 dicembre 2017